“Dov'era una volta il tennis, nel piccolo rettangolo difeso dalla massicciata su cui dominano i pini selvatici, cresce ora la gramigna e raspano i conigli nelle ore di libera uscita. Qui vennero un giorno a giocare due sorelle, due bianche farfalle, nelle prime ore del pomeriggio.”

Eugenio Montale


Il tennis “cantato” e contemplato dal poeta nell’istantanea citata non era quello dei contratti e delle sponsorizzazioni. Solo il passatempo in gestazione alle prime prodezze prima che il professionismo lo avrebbe consegnato a uno spettacolo costosissimo, ma in grado di conservare l’anarchia dell’individualismo epico e innocuo a cui dare conto come a se stessi. Il tennis come parabola dell’es prima ancora che della competizione con un avversario.

Roger Federer ha detto basta. Il suo ultimo braccio in elevazione ha svuotato la mano senza più la pallina. Adesso quel braccio alzato è solo per il saluto. La racchetta è a testa in giù accanto alla sedia del break time. Non ci sono ombrelli retti da ragazzini, non ci sono bottigliette di integratori né asciugamani. È rimasta l’ombra sottile di quel reticolato che riflette le tessere di una carriera e di una vita. Sì, perché adesso uno come Roger Federer ne avrà una nuova, di vita. Di sicuro da oggi in poi ragguaglierà con i non sarà più così. 

Al di là dei conti in tasca, del défilé in ciclostile delle curiosità da rotocalco, sulla sua ricchezza, i guadagni e il fondo un po’ volgare della narrativa glamour, non c’è che da ricordarsi del prodigio del genio e di un interrogativo a cui nessuno potrà mai rispondere, se non il diretto interessato. C’è stato un dritto, un rovescio, una volée, che questo giocatore non è riuscito a tirare? C’è stato un colpo che gli è rimasto tra i gesti ipotetici? C’è stato un momento ibernato tra l’intenzione e l’esecuzione? Qualcosa che adesso si è accomodato accanto al suo ritiro con uno sberleffo? L’avrei voluto di tanto in tanto andrà a perseguitarlo? E qui non basta una carriera da record per rispondere e per rispondersi. Arriveranno altre cose, che forse col tennis non avranno a che fare. Arriverà qualcosa che è fuori dalla grazia dei suoi ammiratori e che pure se è nato dal tennis, col tennis non vorrà avere nulla da spartire. 

“Si direbbe che la vita non possa accendersi che a lampi e si pasca solo di quanto s’accumula inerte e va in cancrena in queste zone abbandonate”, prosegue Montale che a tennis non aveva mai giocato ma che una volta disse che in un’altra vita gli sarebbe piaciuto. 

Perché una volta il punto finale del tennis era decretato con il celebre “gioco, partita, incontro”. Adesso, nessuno sa quanto durerà, è coniabile un nome a un nuovo istante. Adesso è tempo di pensare a un punto finale del tennis e di chiamarlo Roger Federer.