È amara la prima serata europea dell'Inter 2016/17: la pesantissima sconfitta rimediata contro l'Hapoel Beer Sheva risulta ancora indigesta il giorno dopo. Per chi ha un minimo di memoria storica di cose nerazzurre, il sapore della gara di ieri sera contro gli israeliani avrà ricordato quello di un'altra triste serata europea, quella del 26 settembre del 1995, che vide gli uomini guidati, quella sera, da Luisito Suarez, soccombere per 0-1, al cospetto di un Lugano che mai avrebbe potuto nemmeno immaginare di poter arrivare al Meazza e strappare la qualificazione, dopo l'1-1 della gara d'andata, che vide Ottavio Bianchi guidare il team nerazzurro per una delle ultime volte.

Anche se, a ben pensarci, il parallelismo regge fino a un certo punto: l'Inter che s'inchino al Lugano manifestò soprattutto una certa supponenza, mentre quella di ieri sera non è stata in grado di far vedere nemmeno un minimo di presunzione o arroganza. Non parliamo di orgoglio perché, evidentemente, è un valore che si trova nelle retrovie della classifica delle risorse cui può attingere questo gruppo. 
L'Inter di ieri sera non ha messo alcunché in campo: nulla di nulla. Zero totale. Una prestazione, se possibile, ancora più oscena della maglia con cui gli uomini di De Boer sono scesi in campo.

In questo momento della stagione in cui è necessario costruire, aggiungere pezzi ai concetti di calcio che si vogliono portare avanti, trovare determinate certezze e individuare i punti deboli su cui lavorare, una batosta come quella di ieri sera ci dice una sola cosa: c'è tanto da fare, ma non solo sul campo. Anzi, soprattutto fuori dal campo.

Ci riferiamo, ovviamente, alla società: il gruppo Suning, che ha la scusante di essersi da poco insediato alla guida dell'Inter, pur avendo dimostrato una consistente disponibilità economica, ha messo in mostra alcune defaillance già durante l'estate, laddove il "caso-Icardi" è stato trattato in maniera che definire blanda sarebbe un eufemismo, ma vi sono anche altri aspetti, non proprio collaterali, la cui gestione estiva potrebbe nuocere all'andamento della stagione. È il caso, ad esempio, dei tanti calciatori tenuti in rosa, pur sapendo che per loro ci sarebbe stato poco spazio: i vari Jovetic, Brozovic e, per certi versi, lo stesso Kondogbia che potrebbe finire ai margini del progetto tecnico, sono elementi che necessitano di essere coinvolti a pieno titolo nel discorso di squadra, per poter rendere al meglio. Se non è possibile farlo, allora, forse, è meglio ripensare che la strategia del "lo vendo a chi voglio io ed al prezzo che dico io", non è la più adatta, perché ci si ritrova con un sacco di calciatori scontenti. Come finiscono queste storielle, poi, lo sappiamo tutti: spogliatoio sfaldato, gruppo disunito e risultati che ne sono lo specchio fedele. 
Costruire una squadra è un qualcosa di difficile: bisogna tenere conto di tanti equilibri, non solo tecnici, ma proprio umani: in questo, probabilmente, qualcosa è stato valutato in maniera approssimativa.

Non parliamo, poi, di come è stata gestita la vicenda Mancini: se le divergenze erano davvero così insanabili, come l'addio del tecnico jesino ha certificato, allora sarebbe stato opportuno prendere una decisione un po' prima del 9 di agosto.

Una società seria, ieri sera, al termine della gara contro l'Hapoel Beer Sheva, avrebbe dovuto fare soltanto una cosa: imporre a tutti il silenzio e mandare l'intera squadra in ritiro. Ieri sera stesso. Senza preavviso. Così come senza preavviso è arrivata quella oscena prestazione. Non è stata presa alcuna decisione: ciò denota, una volta di più, l'assenza di un uomo forte in seno alla società: non è pensabile delegare tutto a Piero Ausilio. Manca almeno un tassello che possa occuparsi del "management" sportivo, che sia sempre assieme alla squadra, che sappia di calcio, di spogliatoio e di uomini. Zanetti, forse, ci sta provando, ma se i risultati sono questi, qualche dubbio rimane.

Lo specchio di quanto "offerto" dalla squadra è l'immagine di Mauro Icardi, il capitano, entrato per raddrizzare il match nei minuti finali e che, durante un'azione d'attacco, è stato beccato mentre era intento a sistemarsi la fascia. Forse ha fatto bene, a dire il vero, perché senza quel fazzoletto giallo che indica che è (dovrebbe essere) proprio lui il leader del gruppo, si fa fatica a rendersene conto.

Mancano l'orgoglio, la personalità, addirittura un minimo di amor proprio: non parliamo della voglia di divertirsi e di giocare a pallone. Quanto visto ieri sera è assolutamente inconcepibile. Dei professionisti, profumatamente e regolarmente pagati, non possono presentarsi in campo in quelle condizioni: completamente svuotati, privi di ogni stimolo. Mi auguro che i muri dello spogliatoio, a fine gara, abbiano tremato.

Non è un problema di limiti tecnici, pur evidenti in alcuni elementi: il discorso è molto più serio, addirittura grave, sportivamente parlando: non c'è gruppo e si fa fatica a individuare più di 2-3 calciatori attorno ai quali il gruppo possa saldarsi, cementificarsi.

Il "povero" De Boer, catapultato in una realtà assolutamente nuova, a meno di 15 giorni dall'inizio della stagione, e che pure non è esente da responsabilità, in questo momento è il meno colpevole di tutti. Ma, paradossalmente, è quello che può offrire la soluzione più immediata: ha fatto bene, nel post-gara di ieri sera, ha mantenere toni bassi, senza colpevolizzare nessuno. Probabilmente, anzi, sicuramente, di ben altro tenore sarà stato il contenuto del discorso fatto all'interno dello spogliatoio.
La difficile missione del tecnico ex Ajax è quella di dare una identità alla squadra ma, prima ancora, quella di farsi perno della costruzione di un gruppo che, ad oggi, non c'è e, se queste sono le premesse, faticherà a cementificarsi.
Non è un problema di 4-3-3 o 4-2-3-1,
né tantomeno di Banega 20 metri avanti o 20 metri indietro: mancano le basi, le premesse fondanti. È necessario guardarsi negli occhi e stringere un patto, trovare un compromesso, senza lasciare nessuno indietro, per quanto possibile, visto il numero di calciatori "importanti" presenti in rosa. A prescindere dall'assortimento degli stessi, tutt'altro che omogeneo. Ma, come già detto, non è nemmeno questo, oggi, il problema. Manca l'anima, a questa squadra.

Si tratta di un lavoro che va fatto in profondità e che richiede tempo e collaborazione anche da parte della società: isolare De Boer nel mezzo di questa tempesta sarebbe imperdonabile. Irrimediabile.