Per affrettare il miglioramento di se stesso, l’uomo ha sempre scelto i metodi peggiori. La fretta, parola sottoposta a ripetizione a modi di dire e a luoghi comuni, antichi e recenti, è uno dei mostri della modernità. Il suo tocco diabolico non può che far danni, e guai a confonderla con l’urgenza e col progresso. Si rischia di scivolare nei momenti peggiori della storia.

 

L’eugenetica, come idea nata dai tempi di Platone, ha sempre affascinato l’uomo e il suo desiderio di somigliare a dio. Ma la Babele scientifica di danni ne ha fatti parecchi.
Passando per l’idea di creare masse di uomini perfetti attraverso la comminazione di matrimoni tra determinate “razze”, per il controllo della vita sessuale, fino allo studio diretto dei relativi fenomeni scientifici, il concetto di eugenetica della storia recente è stata raffinato da Francis Galton, che ha professato il controllo biologico delle razze e l’intervento delle istituzioni per la selezione dei soggetti adatti.

 

L’opportunità non è poi sfuggita ai paesi imperialisti e ai regimi totalitari, dapprima attraverso politiche di sterilizzazione forzata e poi programmi scientifici legati alla propaganda e al tentativo di autentici controlli genetici di massa, fino ai deliri e alle degenerazioni dell’Aktion T4, il programma nazista di eutanasia, che prevedeva l’opportunità di sopprimere persone affette da gravi malformazioni e da malattie incurabili, in virtù del criterio di “igiene razziale”, legato, a sua volta, agli esperimenti, appunto di eugenetica, che la Germania di Hitler prevedeva su atleti, soldati e, in maniera diversa, su ebrei, per il miglioramento delle capacità fisiche dell’uomo, affinché raggiungere la misura “perfetta” della razza ariana.

 

Prima e dopo la parentesi hitleriana, il mondo ha conosciuto queste sperimentazioni anche per mano di Stati Uniti d’America, Canada, Francia, Norvegia, Svizzera e Danimarca, più o meno tutti paesi dell’area settentrionale del planisfero, oltre che le più recenti abitudini, da parte dell’ex Unione sovietica, della Cina e di molti altre nazioni, di un uso diffuso, al limite della sommarietà, di sostanze stupefacenti utili anche nell’ambito sportivo.

 

Lo sport è sempre stato uno strumento del potere e per questo non ha potuto sfuggire alla tratta farmaceutica che da più di mezzo secolo ha fatto irruzione nella vita sportiva di decine di migliaia di atleti professionisti e di centinaia di federazioni.
Nel tempo il doping ha assunto anche un’importanza economica, sia per il giro di affari legato alla sua distribuzione, soprattutto clandestina, e sia perché il mondo dello sport, su spinta delle multinazionali degli sponsor, tende ormai alla creazione dei fenomeni perfetti, di sportivi capaci di polverizzare record su record, di vincere tante competizioni in tempi brevissimi. Perché il fenomeno deve diventare divinità, e la divinità è l’orizzonte religioso per far sì che le persone non smarriscano il senso religioso della disciplina sportiva, purtroppo quasi sempre sostenuta dall’artificio, piuttosto che dal sacrificio atletico.

 

L’uomo sa di avere dei limiti, di essere un organismo limitato, ma questo il sistema economico non può permetterselo. Allora la creazione dei mostri imbattibili, poi battuti da altri mostri, deve proseguire, dietro lo "sforno" inarrestabile di campioni artificiali.
L’atletica, il ciclismo, il calcio e molti altri sport, somministrano ai propri atleti, talvolta anche a loro insaputa, medicinali e sostanze vietate, con il solo scopo di creare degli uomini perfetti, votati al continuo prodigio della prestazione.
Ecco che Tyson Gay, Asafa Powell, per citare gli ultimi casi celebri, oppure, per citarne altri, Ben Johnson, Lance Armstrong, Marion Jones, Alex Schwarzer e tanti altri, sono i protagonisti di una disciplina sportiva che ha in sé molti significati.

 

Sono, prima di tutto, i testimoni corrotti di quella che il filosofo americano Michael J. Sandel ha definito la “Eugenetica liberale”, perché “libera”, appunto, da costrizioni di natura istituzionale, come invece poteva risultare nelle sperimentazioni e nelle brutali forme di imposizione dei regimi totalitari.
Il caso del doping come simbolo dell’eugenetica liberale richiama pure il senso di frustrazione che caratterizza le nuove generazioni, incapaci di sostenere lo sguardo di un io reale che è inferiore a quello dell’io a lungo immaginato e inseguito e che, nel mondo professionale, in questo caso dello sport, può essere surrogato dall’uso di sostanze artificiali capaci migliorare le prestazioni attraverso un’alterazione delle naturali predisposizioni e delle capacità di un atleta.

 

Il doping non è soltanto un problema di natura sportiva, ma è lo specchio dell’emergenza umana nel mondo degli sportivi, perché forza la linea naturale dell’autoconservazione, spingendo ragazzi e atleti più maturi a sottoporsi alla somministrazione di medicinali pericolosi per la carriera, ma prima di tutto per la salute. Tumori, leucemie, malattie rare e difficili da curare, sono il prezzo su vasta scala dello strumento clandestino per eccellenza dello sportivo. Ma l’uso di questo strumento talvolta è indotto da sistemi molto forti che spingono affinché lo sport crei il mito a tutti i costi, anche artificiale, anche se destinato a cadere una volta portato in alto, spremuto e lasciato cadere.
Ecco che l’aspetto, ovviamente inquietante, dell’eugenetica nello sport, viene a galla in maniera evidente. Un’eugenetica che si muove secondo altre strade, attraverso guide più raffinate, ma comunque rivolte al controllo dell’eccesso.

 

È un’umanità che s’allontana, una deriva che lo stesso Sandel ha definito come il “rifiuto del dono”, l’incapacità dell’uomo di affidarsi a quanto la natura gli ha fornito. È scomparsa la dotazione naturale, a vantaggio dell’accelerazione assicurata da quella artificiale. Le prestazioni e i primati si susseguono nel tempo come il battito scandito di generazioni di atleti capaci di migliorare sempre e comunque quelle precedenti. La regola è far sì che lo sport non smarrisca per nessuna ragione l’ebbrezza dell’impresa senza precedenti, pure per chi deve soltanto assistervi.

 

Il successo eugenetico è raggiunto dai poteri che riescono a speculare su questo fenomeno, mentre le vittime, comunque corrotte, sono gli atleti che vengono prima o poi scaraventati nel massacro di un’opinione pubblica che trae, come conclusione, il fallimento dello sport, che, poco a poco, non è più valore umano, ma strumento di dipendenza di massa. È come se tutto fosse sottoposto a doping. Una specie di terapia della provvidenza. Ha scritto Emile Cioran che “soltanto la morte è lo stato di perfezione a disposizione di un mortale”.
 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka