Milano è una città abituata alla malinconia. Il suo gelo nebbioso è stato nutrito a lungo con le provenienze multietniche che si sono sommate al gusto raffinato e all’occhio esperto degli intenditori del futbol. Una città che al calcio ha sempre saputo guardare con la razionalità europea e il sentimentalismo sudamericano. Forse nessuna piazza pallonara italiana può vantare un’ampiezza storica come quella del capoluogo meneghino. Entrambe le sponde, quella nerazzurra e quella rossonera, hanno sempre professato il luogo scientifico e metodico del calcio, fedele a se stesso, talvolta guardando dall’alto in basso il resto del calcio. Del resto, se una città vanta due squadre storiche e decine di titoli internazionali, può pure permetterselo. Adesso, però, quella dolce e rigorosa malinconia si è fatta un po’ da parte, rendendosi ancora più malinconica, per fare definitivamente spazio alla “colonizzazione” orientale dell’imprenditoria del Sol Levante. E pure questa, forse, può essere sopportata dalla sua anima multietnica. Diciamo così.

Ha dell’umano sacrosanto la reazione dei tifosi e degli appassionati davanti al rifiuto di Gianluigi Donnarumma di rinnovare il contratto col Milan. E la vicenda, se dovesse concludersi con un addio, non avrebbe del nuovo. Un po’ come gli interisti che non la presero bene quando Ronaldo, dopo la lunga e tormentata trafila del recupero dal suo grave infortunio, dopo essersi ripreso salutò tutto e tutti per andarsene a Madrid. E i casi analoghi si sprecano in molti precedenti, di altre squadre, di altri momenti.

Al di là di ogni giustificazione alla reazione, al di là di ogni torto o di ogni ragione dei diretti interessati, soprattutto rispetto alle cose dette e a quelle non dette, specialmente quest’ultime - il calcio è un luogo che non ama dire la verità - forse è arrivato il momento di superare tutti i gradi della malinconia e ammettere definitivamente l’impossibilità di chiedere al calcio di essere come vorrebbe il tifoso. Soprattutto di essere come lui. Non suscita sensazioni piacevoli, non induce a curare la passione come chiederebbe chi altro non desidera che essere ricambiato, ma ormai le cose vanno così. E la parola rimedio, oltre che risuonare stonata e priva di fondamento, probabilmente non avrebbe nemmeno senso.

Oggi il calcio si apre a uno scenario di finzioni recitato da maschere dietro alle quali lavorano, passano, aspettano, chiedono decine e decine di persone. Procuratori, staff, sponsor, stuoli di parenti, congiunti e discendenti che formano una specie di clan che si muove tra il visto e il non visto. Ora come si può chiedere a tutto questo di amare? Se il pallone rimbalza tra dispute finanziarie e interessi individuali l’educazione a un’ipotetica etica dell’appartenenza è una richiesta improponibile. Donnarumma potrebbe già sembrare l’ennesima dimostrazione, stavolta appena all’età di diciotto anni, che il sentimentalismo del calcio è un istante di felicità lanciato al momento come si fa con la maglia dopo la partita. Una volta chiusa la manopola della doccia, tutto è già completamente cambiato e dimenticato.

Tutto questo, in fondo, come può fare i conti con la libertà di scelta di un singolo professionista? I calciatori che cosa sono? Liberi professionisti. Free lance a caccia di contratti milionari e di successo. E non è questo che molti genitori desiderano per i loro figli quando li seguono passo per passo nelle scuole calcio? Non è forse questo a cui ambiscono molti ragazzi incoraggiati da padri che vedono in loro la luce del nuovo talento mondiale? Se i procuratori sono il gatto e la volpe, il Pinocchio di turno non è assolutamente costretto ad allinearsi alle loro aspettative. Il danaro e il talento sono suoi. Cambiano il legno, i Geppetto e le fate turchine, moltiplicati in uno star system per cui non vale più la pena spendere parole dal romanticismo facile. La poesia si salva da sola. Quando c’è, se ne sta in disparte a essere se stessa. Beati quelli che la scorgono e restano a goderne la durata. La sua resistenza è la lanterna per gli inguaribili - menomale che ci sono - e passionali affezionati alla maglia e alle rimembranze dei tempi che furono e che non vogliono essere più. 

Ci sono forme di libertà che vivono di ragioni e altre che vivono di sentimenti. Di questo si tratta. Si fronteggiano due libertà opposte. In mezzo, probabilmente, una miriade di dipendenze e legami che all’interno hanno un peso e all’esterno sono difficili da comprendere. Ammesso che abbiano diritto a farsi comprendere. A ciascuno altrettanta libertà di apprezzare quella più congeniale. Il tifoso purtroppo è condannato ad aspettarsi sempre la seconda. Se non lo facesse, forse non sarebbe nemmeno un tifoso. Il tifoso ci rimette. Chi non ci guadagna niente quasi sempre gode di libertà incondizionata. quella costa il prezzo amaro della delusione.