Povero Gigio, nessuno lo ha mai capito. Povero Gigio, costretto a subire indicibili angherie in tenera età. Povero Gigio, circonvenuto da dolci parole. Povero Gigio, mandato talmente in confusione da dover rinunciare a sostenere l'esame di maturità. Povero Gigio, che adesso che le cose non vanno bene chiede giustamente di essere ceduto e i tifosi, cattivoni, lo fischiano, e la società, crudele, lo imprigiona. Povero Gigio.

Niente: provo a mettermi nei panni di Donnarumma (che m'andrebbero un bel po' larghi, ma vabbè, uno ci prova) e non riesco a capire. Provateci, e se ci riuscite fatemi un fischio e datemi una spiegazione: vi ascolterò con attenzione, perché per me è un cubo di Rubik con sette colori. Parliamo di un ragazzo di 18 anni che sta vivendo il sogno di milioni di ragazzi della sua età, che guadagna quanto tutta la rosa del Benevento dell'anno scorso, che ha tutto il tempo di vivere gli alti e i bassi di una carriera che, se non fa fesserie, potrebbe portarlo a diventare uno dei migliori portieri della storia del calcio. Uno che baciava la maglia; uno che, dopo un tira e molla orchestrato dal procuratore più temuto dai tifosi di tutto il mondo, ha firmato un contratto ricchissimo e trovato un posto anche al fratello; uno che, si dice, non più tardi di quattro mesi fa voleva pure la fascia da capitano.

Intanto, nonostante le smentite di Gigio, c'è qualcuno che parla, in suo nome, di violenza morale. Rileggete: "violenza morale": ha il suono delle parole che non dovrebbero essere usate a cuor leggero. Eppure eccole lì, ovunque, perché è la giustificazione sottoscritta da Mino Raiola per sciogliere il legame fra Donnarumma e il Milan. Fatto sta che, pubblicate queste parole - "violenza morale" - Donnarumma non poteva aspettarsi applausi e pacche sulla spalla, ma solo dissenso, fischi, insulti. Il calcio è così, e non l'abbiamo scoperto ieri. Avrebbe dovuto ignorarli, incassarli e giocare, in silenzio, senza farsi smuovere. Facendo parlare i fatti, non cercando la difesa dietro la carta d'identità - si è sentito scosso (povero Gigio).

Sembra tutto un capriccio. La domanda, a questo punto, è: qual è l'origine di questo capriccio? Donnarumma o Raiola? Se viene dal portiere, allora bisognerebbe ricordargli che se si prendono certe decisioni allora bisogna anche avere il coraggio di difendere le proprie scelte, per quanto discutibili - leggi: incassa i fischi e gioca, e magari a gennaio vai al Real Madrid, alla Juventus o dove vuoi.  Ma se a puntare i piedi è Mino Raiola, e Donnarumma non è d'accordo, allora il portiere dovrebbe far valere la propria forza e, banalmente, licenziare il procuratore. Può farlo, se vuole. Dopo i fischi, i tifosi gliel'hanno chiesto. Vedremo: oggi come oggi sembra l'unica strada per la riappacificazione e per la ricostruzione di un rapporto che quattro mesi fa era tutto un fuoco e di cui, ormai, resta una fiammella flebile flebile.

La società, intanto, fa quadrato attorno al giocatore e se la prende con Raiola: il direttore sportivo Mirabelli ha definito il procuratore "uno showman" e si è detto convinto che "Gigio è un ragazzo straordinario, non ha mai espresso il desiderio di andare via". Giustamente, difendono l'investimento. E vincerebbero praticamente in ogni caso: se Gigio restasse, avrebbero un portiere che può garantire, volendo, vent'anni abbondanti di certezze; se Gigio volesse andare via, potrebbero far scatenare l'asta e fare cassa e un'importante plusvalenza. Certo, c'è anche l'eventualità che qualcuno giudichi il Milan colpevole di quella "violenza morale" di cui Donnarumma, secondo qualcuno che ne fa le veci, si sarebbe sentito vittima. Una violenza talmente violenta da fargli firmare un contratto da sei milioni netti all'anno. Povero Gigio.