Su Antonio Cassano ho letto e sentito di tutto. Delle sue storie di ragazzino della Bari “poco perbene”, delle sue uscite strampalate, delle sue avventure notturne in abiti da viveur. Ho visto, letto e sentito di litigi fuori del campo, di dichiarazioni poco garbate, a volte al limite del buon gusto, talvolta cercando di indossare i vestiti del Robin Hood della provocazione.

 

Antonio, con la sfilza di soprannomi che si porta appresso, ne ha dette tante, di belle e di brutte, a tutto e a tutti. Ma l’ho visto pure domandare scusa, l’abbiamo visto tutti pentirsi in pubblico di una reazione esagerata contro l’arbitro, alzando le mani verso i tifosi con le lacrime agli occhi e la maglia fra i denti.

 

Chi lo ha compreso, libero dalle quelle vecchie e ammuffite sovrastrutture del buonismo che si comprano ai dispacci dei ministeri presso grigi funzionari che per una vita hanno scelto una squadra perché delle sue discutibili imprese leggevano solo sui giornali, chi lo ha compreso, dicevo, gli vuole un po’ più bene che agli altri, di questi presunti campioni del calcio moderno. Perché? Perché, secondo me, Antonio Cassano è il calciatore moderno. Cresciuto nessuno sa bene dove e come (e a tutti piace questo mistero urbano sulla sua infanzia), scaraventato nel successo da un goal capolavoro contro la squadra che a distanza di anni lo avrebbe recuperato nell’entusiasmo, viziato, comprato, venduto, ricomprato, rivenduto, ceduto per poco e rimpianto per molto. Maledetto e benedetto tra le ipocrite e precarie dinamiche del mercato pallonaro, che ti vuole oggi qui e domani nessuno lo sa.

 

E Cassano ci si è tuffato con tutti i vestiti dentro questo mare frequentato da pesci di tutte le taglie, compresi quelli che oggi predicano una nazionale etica e junior, ma che non si sa bene perchè non lo convochi più, il Cassano che non le manda a dire, che forse non ha torto quando fa capire che un certo tipo di successo arriva solo se tieni la bocca chiusa, al momento opportuno, e poi la riapri sbraitando isterici stati di innocenza.
No, nossignore, Cassano è colpevole, peccatore ed errabondo, come tutti, e lo sa, e ci scherza su. Si piglia con filosofia lui che non gioca a fare l’accademico dei proverbiali stivali, ma che di filosofia ne spunta un po’ più dei suoi detrattori, soprattutto quelli che non lo sopportano e non lo dicono, standosene a braccia conserte sotto pettinature e pose che non sembrano scomporsi.

 

Non si metta in mezzo l’andirivieni nauseante delle frasi fatte, che certi personaggi non fanno bene ai giovani, che sono un cattivo esempio e tutto il resto, perché di cattivi esempi se ne vedono tanti starsene, per chissà quali oscure ragioni, tra le prime linee, arroganti e compiaciuti perché sostenuti, anche qui le ragioni si scuriscono, da uno stuolo di lacchè senza pensiero.

 

Il calcio è una faccenda complicata, non è cosa da libro Cuore. Semmai lo fosse stato qualche volta è perché ci sono capitati i giusti figuri nei momenti sbagliati. Il pallone trabocca di cose sbagliate, e da quelle ci si difende con l’intelligenza sottratta all’ipocrisia. La maturità è saper avere a che fare con le cose fallibili, non è aggirare l’ostacolo e dire di essersi risparmiati l’esperienza dell’insidia.

 

Non sappiamo se lo ha fatto apposta, ma nelle ultime dichiarazioni Cassano ha pure citato Sciascia. Che ben vengano le cose dette, a dispetto di questa nuova formula di omertà che in questo paese ha formato un esercito di creduloni in malafede. Nel bene e nel male, qualche altra uscita alla Cassano si potrebbe pure farsela piacere. Almeno per salvaguardia del sentimento e del pensiero indipendente. Proprio Sciascia diceva “Le cose che non si sanno, non sono”.

 

Elio Goka