"Ricorda per sempre il 13 novembre.

L'Apocalisse del calcio italiano, l'anno zero che emette i suoi primi tormentati vagiti. Difficile da immaginare, ancor più da digerire. Croce e delizia. Apparteniamo alla generazione che ha avuto il privilegio di ammirare le giocate di Messi e Cristiano Ronaldo, ma anche la sfortuna di dover vivere un Mondiale da turisti. Roba che non si vedeva da 60 anni. Provate a chiedere ai vostri padri, zii e nonni che cosa ricordano di quell'estate del 1958. Forse comincerete a farvi un'idea.

Il fallimento contro la Svezia è tutto in quello sfogo di De Rossi, invitato a fare riscaldamento ma rimasto volutamente seduto in panchina. Consapevole di quanto il suo apporto tecnico non avrebbe di certo migliorato una situazione disperata. A maggior ragione con un Insigne inspiegabilmente inutilizzato per 98 minuti, accomodato due posti più in là, chiuso a riccio nella sua felpa azzurra. A ripararsi simbolicamente dal gelo di San Siro, più emozionale che climatico. Nella partita più importante dell'epoca recente del nostro movimento calcistico.

Eppure un sentore lo percepimmo già il 25 luglio 2015. Con la Spagna sorteggiata nello stesso nostro girone. Dopo svariati anni di Malta, Azerbaigian, Far Oer e compagnia cantante, per la prima volta ci saremmo ritrovati ad affrontare un autentico colosso sulla strada che ci avrebbe portato in Russia. Mettere in conto uno spareggio, sin da subito, era quanto meno doveroso.

Così è stato. Ancora ricordo con ironia i commenti dei classici soloni del pallone che in tv meno di un mese fa, con le loro giacche tirate a lucido e quell'insopportabile aria da so-tutto-io, quasi esultavano dopo che fu estratta la pallina della Svezia insieme con quella dell'Italia. Gli stessi che magari adesso diranno con un velo di sarcasmo che, visto come sono andati gli ultimi due Mondiali, forse è meglio non esserci nemmeno andati, in Russia. Semplicemente, da togliergli i microfoni a vita.

A proposito degli ultimi Mondiali. Nel 2014, in Brasile, Prandelli e Abete non esitarono un attimo ad assumersi le responsabilità di un flop clamoroso e rassegnarono le dimissioni. Oggi, a quasi 24 ore da una figuraccia epocale di cui si parlerà per decenni, i vertici del nostro calcio sono ancora lì. Devono 'parlare, valutare, programmare'. Ora. Ora che è troppo tardi e la mega-frittata è bell'e fatta. Per il loro bene, mi auguro vivamente che in questi loro 'discorsi, valutazioni e programmazioni' considerino un fattore imprescindibile: la gente pretende un cambiamento rapido e radicale. Le condizioni per fare tabula rasa e ricominciare sempre dagli stessi nomi si sono frantumate nel momento esatto del triplice fischio di Antonio Mateu Lahoz. Voltare pagina sì, ma che sia una metamorfosi completa.

E non si dica che questa è demagogia o puro populismo pallonaro. I veri populisti (che in alcuni casi trascendono il limite della vergogna e vestono i panni degli sciacalli) sono coloro che stanno puntando e punteranno il dito contro una presunta eccessiva presenza di stranieri in Serie A. Basta citare un solo dato: la percentuale in questione si attesta al 53.3%, praticamente identica a quella della Bundesliga (52.7%). In Germania, però, il sistema gira a meraviglia. In realtà anche in Italia non è che le cose vadano poi così male: negli ultimi due anni l'Under 21 è stata semifinalista europea, l'Under 20 è arrivata terza ai Mondiali, l'Under 19 è approdata in finale agli Europei. Molti giovani di qualità stanno facendo capolino nel calcio che conta, tanti altri lo faranno nel giro di 4-5 anni. Come si spiega quindi il dramma sportivo che stiamo vivendo?

Mai come stavolta una sensazione poteva ergersi a indicatore di un disastro annunciato e imminente. E' l'Italia dell'improvvisazione. Quella delle scelte errate, di un gioco che non esiste, di un assemblaggio di uomini che è ben lontano dal sano concetto di "squadra". La continua rincorsa di un qualcosa che non c'è. E che non si ottiene magicamente dal nulla.

Le amare lacrime milanesi adesso devono lasciare spazio a una rivoluzione totale: il "come" lo lasciamo decidere a voi.

E a chi è sceso in campo negli ultimi 180 minuti con la maglia azzurra faccio un appello: richiamate alla memoria queste tristi ore ancora una volta, ma tra sette mesi. 

Quando ostenterete lusso e spensieratezza nei vostri selfie su Facebook o nelle vostre storie di Instagram.

Quando ripenserete alla vostra busta paga, sacra e intoccabile nonostante tutto.

Quando vedrete dalle vostre sfarzose TV 80 pollici i colleghi che sono in Russia. Quelli che ce l'hanno fatta.

Come se niente fosse successo.

Come se tutto fosse normale.

Come se l'Italia, in fondo, possa permettersi una volta tanto di restare a casa.

Dimenticando per sempre il 13 novembre".


Gianmarco Della Ragione