Diciamoci la verità: Lucas Biglia era stufo della Lazio già da un pezzo. Più o meno dall'estate del 2015, cioè da quando è cominciato il lento (?) declino dell'appeal tra l'argentino e i biancocelesti. Complice, probabilmente, l'interessamento di diversi top club (Manchester United in primis) nei suoi confronti.
Erano settimane calde, frangenti in cui il rischio di perderlo era diventato elevatissimo. Così l'allora tecnico capitolino Stefano Pioli prese una decisione a sorpresa che si rivelò un'arma a doppio taglio: fascia di capitano all'ex Anderlecht e tanti saluti ad Antonio Candreva. Una mossa che da un lato, di fatto, scongiurò l'addio di Biglia, ma che dall'altro scontentò l'esterno romano, oltre a creare (forse, chissà) una spaccatura all'interno dello spogliatoio. La storia, alla fine, sappiamo com'è andata: Pioli esonerato, Candreva finito all'Inter, campionato anonimo con Simone Inzaghi unica nota lieta lasciata in eredità.
Lucas è rimasto anche la scorsa estate. Calma piatta, ma solo apparente. Fino ad arrivare a quel 4 aprile 2017, serata della "dolce sconfitta" nel derby di ritorno della semifinale di Coppa Italia. Per la Roma un 3-2 insufficiente, dopo il 2-0 patito all'andata. E per il mediano laziale parole al miele verso la propria società. "Stiamo lavorando affinché io resti qui a vita, ci siamo quasi. Quando entrambe le parti hanno voglia le cose vanno a buon fine".
Falso. Niente di più falso. In realtà era ben celata dentro di lui la chiara volontà di trasferirsi altrove. Di liberarsi di un fardello nemmeno fosse una maledizione eterna. La prova l'abbiamo avuta negli ultimi mesi. Lotito ha fatto di tutto per prolungargli l'attuale contratto in scadenza nel 2018. Si è spinto a offrirgli un quinquennale da 3 milioni di euro a stagione (sarebbe stato un record sotto la sua gestione) con opzione per il sesto anno, garanzie sul rafforzamento della rosa e la promessa di un posto da dirigente dopo il ritiro. A 31 anni, una proposta praticamente indecente.
Ma a 31 anni, evidentemente, ci sono treni che non devono essere presi. E altri che invece arrivano e colpiscono tra capo e collo. Come quello rossonero, per il quale ha ormai già vidimato il proprio biglietto e da cui presto scenderà per abbracciare i suoi nuovi compagni. A fare la differenza, potrei metterci la mano sul fuoco, non sono stati quei 500 mila euro in più di stipendio che percepirà. Alla base della sua decisione c'è una frustrazione che va avanti da anni, una malinconia palese, facilmente leggibile sul suo volto. Col senno di poi, Biglia alla Lazio forse nemmeno voleva venirci.
Era il 2013. L'anno dell'ultimo trofeo alzato al cielo dai biancocelesti, la storica Coppa Italia contro Totti e compagni. Nel giro di quattro anni, dopo quel leggendario trionfo in cui lui non c'era ancora, il nostro amatissimo top player della mediana si è tolto lo "sfizio" di perdere tre finali su tre contro la Juventus (due di Coppa, una di Supercoppa). Per non parlare di quelle collezionate con la maglia dell'Argentina. Quasi quasi rivaluto il concetto della maledizione. A ben vedere, però, a discapito della Lazio.
All'orizzonte un altro atto conclusivo nella Supercoppa italiana, sempre al cospetto dei bianconeri. Troppo alto il rischio di rimediare in prima persona l'ennesima debacle in carriera? Sicuramente. Ma dietro c'è molto altro. C'è un atteggiamento imbronciato, incupito, intristito, da cane bastonato. Avete mai visto Biglia sorridere da quando è in Italia? Boh, forse me lo sarò perso quel momento.
In tutto questo, il diretto interessato ha lasciato lavorare sottotraccia il suo agente e non si è mai esposto. Anzi sì: ieri a un tifoso aveva detto "non credo che andrò al Milan". Ha preso tutti in giro fino all'ultimo. A proposito di ritiro: che senso ha andare un giorno ad Auronzo per poi scappare via dopo 24 ore? Tanto vale non raggiungere proprio quella che dentro di te consideri già la tua ex squadra, per rispetto nei confronti dei tifosi che ti hanno sostenuto e amato finché ci sono riusciti. Ormai è chiaro: l'affetto non era per nulla ricambiato.
Mettendomi nei panni della società, c'è da dire che è stata un'operazione pressoché impeccabile. Certo, sotto il profilo tecnico sarà un'assenza pesantissima che forse solo Lucas Leiva e pochi altri potrebbero colmare. Ma l'affare lo ha fatto anche la Lazio: scucire al Milan 17 milioni + 3 di bonus per un 31enne in scadenza tra 11 mesi, che negli ultimi quattro tornei di Serie A ha saltato per infortunio o squalifica ben 43 partite su 152 totali (quasi un terzo), somiglia molto a un'impresa.
Che cosa resta di tutta questa storia? L'amarezza di un comportamento anonimo, di una strafottenza verso la gente che lo ha elogiato per quattro anni, di un sentimento sterile e mai sbocciato. Un capitano vero non si sarebbe mai comportato così. Passino pure l'addio, la volontà di sposare un nuovo progetto, il fascino del passato e futuro milanista e quant'altro. Ma avrebbe dovuto prendere posizione sin da subito, parlare a chiare lettere. Lucas Biglia, questo, non l'ha mai fatto. Ingannando e illudendo fino all'ultimo chi credeva che potesse restare a Roma almeno per un altro anno. E rivelandosi così quello che in fondo è sempre stato: un "capitano costretto".
Lui è andato, entro luglio del 2018 toccherà di sicuro anche a Keita e De Vrij, poi forse a qualcun altro attualmente in rosa. Improvvisamente mi tornano in mente le parole di Hernanes e Candreva. Stessa situazione, stessa destinazione. "Voglio andare all'Inter per vincere". Che cosa, poi, non è dato sapere.
Buona fortuna, Lucas. Se le premesse "milanesi" sono le stesse dei tuoi due predecessori, te ne servirà davvero tanta. Intanto, però, lo possiamo dire a gran voce: finalmente è finita la fiera dell'ipocrisia.