Tra quarti di finale di Champions League “macchiati” da evidenti quanto pesanti errori arbitrali. E siamo soltanto alle gare di andata. Prestando il fianco alle considerazioni e alle premesse facili, è vero che anche l’arbitro può sbagliare, è vero che l’errore umano ha altrettanta dignità pure se non viene commesso dalla giocata di un calciatore, così come, per come funziona il calcio, sarebbe molto difficile governare la perfezione in nome di una giustizia perfetta.
Se il giusto è altrove, non si capisce (o forse si fa finta di non capirlo) perché il calcio debba rinunciare al rimediabile. Nel corso degli anni sono stati aggiunti i giudici di linea, la goal-line technology, prove televisive e altri strumenti utili a comprendere meglio la verità delle cose. Piccole e grandi azioni “filosofiche” dirette a scongiurare, almeno in via parziale, la possibilità che il risultato di una partita potesse essere condizionato da una decisione arbitrale sbagliata, da un’omissione del non-visto o, in altre ipotesi, che qualche calciatore colpevole di un’infrazione, specie nell’ambito disciplinare, potesse farla franca.
Invece, ancora oggi, a terzo millennio ormai avviato, in un futbol che conta su decine di telecamere ai bordi del campo, sugli spalti, per terra e per aria, rinuncia alla possibilità di dotarsi di strumenti ulteriori, in primis la moviola in campo, che potrebbero ridurre in maniera sensibile gli errori, in certi casi “orrori”, che condizionano in misura determinante i risultati. Il tennis, il volley e molti altri sport si sono dati gli occhi di falco, le telecamere a bordo campo e ogni tecnologia utile a rasserenare l’animo dello sconfitto e ad assicurare il merito e il giusto a quello del vittorioso. Un accertamento sportivo, una verifica spiegata semplicemente con la ragione più nobile dello sport. Nessuna decisione di chi non è parte di un lavoro lungo un anno (in molti casi anche di più) può determinare il successo o l’insuccesso di una competizione. Nel calcio, invece, quest’anomalia è diventata una pratica consolidata, un coefficiente del gioco, un’approvazione pseudo romantica del “deve andare così”.
In Borussia Dortmund-Monaco, arbitrata da Orsato e terminata 2-3, gli ospiti si sono visti convalidare un goal, il primo, in nettissima quanto evidente posizione di fuorigioco. Nessuno sa come sarebbe finita se quella rete fosse stata annullata. Come nessuno sa cosa sarebbe successo al Leicester se in casa dell’Atletico gli inglesi non avessero avuto contro un calcio di rigore per un fallo commesso mezzo metro fuori dall’area. E la partita è terminata 1-0 per gli spagnoli. In Germania, sotto la direzione di Rizzoli, Bayern-Real Madrid ha registrato l’assegnazione di un penalty inesistente, per un presunto fallo di braccio del difensore, anche ammonito, con ulteriore danno disciplinare. Rigore che è poi stato calciato fuori da Vidal, ma che non cambia la prospettiva di una decisione che avrebbe potuto condizionare l’esito della partita.E la UEFA non è nuova a queste situazioni. Semifinali e finali di Europa League (Napoli e Liverpool vittime recenti), semifinali di Champions e molte altre gare di enorme importanza sono state e vengono decise da errori arbitrali, talvolta anche evidenti, per le quali pure il replay diventa superfluo.
Questa storiella del rifiutare la possibilità di avvalersi di mezzi e di strumenti adeguati è un manifesto logoro e stantio di una mentalità burocrate e ambigua del calcio e di chi ne governa, a questo punto chiamiamole con il loro nome, le imperfezioni in malafede. L’elenco dei trofei, dei campionati e dei mondiali condizionati da errori arbitrali è lunghissimo. Un aspetto medievale, gretto e infelice di un calcio che non può professarsi modello di progresso se si sottrae alla serenità della verità.
Se il calcio veramente volesse provvedere, al netto delle difficoltà tecniche e delle valutazioni che andrebbero comunque studiate secondo strategie e soluzioni intelligenti, potrebbe porre rimedio a questa ingombrante e arrogante presenza dell’errore arbitrale che, vale sempre la pena ricordarlo, non fa parte del gioco, non fa parte degli allenamenti in settimana, non fa parte del lavoro delle società e non fa parte della passione dei tifosi. L’arbitro è uno strumento, e nemmeno dei più piacevoli a vedersi. Luogo comune vuole che l’arbitro bravo sia quello di cui non ci si accorge della presenza.