Eh, già.
Magari gli occhi, vista la - presunta, affidiamoci agli esiti della famigerata visita fiscale, tanto per non sbagliare - congiuntivite cronica non gli avranno consentito di mirare la rovinosa debacle del Camp Nou, ma di certo il cuore e la testa avranno provveduto a produrre nel suo ambito decisionale la rivoluzione tecnica già auspicata.
Silvio Berlusconi, ieri, avrà sofferto più di chiunque altro. Sono bastati i 90 tragicomici minuti in crema catalana a spalancargli dinanzi all'orizzonte - humour nero, condetecelo per stemperare gli animi - tutto un proscenio di alternative a Max Allegri che peraltro, in parte, erano già sulla scrivania.
Non susciti stupore tale affermazione. D'altro canto la scelta era già stata fatta, all'epoca. Quando Niang praticamente non vedeva il campo, Montolivo era la metà del regista che è adesso, Constant era ancora un oggetto misterioso e la crescita di El Shaarawy era ancora in divenire. Quando il lungimirante - ci si perdoni, ma la tentazione è troppa - Berlusconi non riusciva a immaginare i margini di crescita poi effettivamente mostrati dal Milan, e l'idea di affidare la squadra a qualcun'altro, magari più affascinante, rossoneramente parlando, di acciughino, era una tentazione non prevaricabile.
Tanto da lavorare, e per mesi, sotto traccia, ai fianchi di Guardiola, senza suscitarne interesse alcuno. Da ammiccare a grandi simboli del passato come Van Basten e Rijkaard, e financo ad offrire la panchina ad uno che allenatore neanche é, pur essendo uno degli ex più rimpianti, come Gattuso. Nel bene o nel male, insomma, il cammino di Allegri è segnato. Nessuna preclusione al cammino nelle prossime dieci giornate, sia ben chiaro. Anche perché la crescita dei giovani, la rinascita di alcuni senatori - oddio, forse è meglio chiamarli deputati - e la massimizzazione dei rendimenti di alcuni, oggettivamente, mediocri calciatori sono tutti suoi, innegabili, meriti. Che non possono non essergli riconosciuti. Così come anche la rincorsa alla Champions: non ancora conclusa, in verità, e tutta ancora da decifrare, ma che rappresenta per Max il vero spartiacque rispetto al prosieguo del suo lavoro a Milano. Se anche lì dovesse esserci un fallimento, magari per colpa d'una partita scellerata come quella del Camp Nou, allora i destini di entrambi - Milan e Max - sarebbero inevitabilmente destinati a dividersi.
Ma il punto non è questo, perché dicònsi semplici ovvietà. Il problema sta nella percezione, adesso gravemente ammaccata, che di Allegri ha oggi Berlusconi. Non c'è mai stato reale feeling tra di loro, nonostante le quasi morbose dichiarazioni di rito e la mediazione, sempre conveniente ed affabulatoria, di Adriano Galliani. Colui che a dicembre si assunse oneri e onori della scelta di concedere ad Allegri il resto della stagione, quando già Berlusconi aveva contattato in Svizzera, per l'appunto, uno dei tanti epurati della sua gestione (per l'appunto Gattuso) e, sognante, ripensava a quanto sarebbe servito ancora un SuperPippo in campo - non che ieri non sarebbe stato utile - e, magari, un Pirlo in regia. Tutti estromessi, in modi e tempi diversi. Tutti fantasmi del passato che ritornano, nel cuore del sognatore Silvio. Tutti rimpianti che le ultime vittorie in campionato avranno anche potuto allontanare, ma che un animo rossonero verace e morboso come il suo non può fare a meno di rivangare quando accadono catastrofi emozionali come quella di ieri sera. Che lasciano riaffiorire i ricordi dei 4-0 contro il Barça, e non degli 0-4; che richiamano alla memoria eroi estintisi con il passare degli anni che nel calcio sono epoche; che convincono che il Milan, finché si chiamerà così, non potrà essere il Milan dei Flamini, Mexes, Zapata e Constant. Ma neanche - solo - il Milan degli El Shaarawy, Niang e De Sciglio. Né tantomeno dei Max Allegri.
Quella è roba che può andar bene per far la corsa coi sacchi contro Napoli, Lazio, Inter e Fiorentina in campionato. Non certo per andare a Barcellona con la convinzione, ed i mezzi, per passare il turno. Quella è roba da Milan.
L'incubo di Silvio, tenebroso quasi quanto la magistratura bolscevica, sta tutto lì: il vedere la sua creatura genuflettersi di fronte alla superiorità altrui. Ecco perché, a stretto giro di posta, riconsegnerà il Milan a chi ritiene di meritarlo. Perché occhio non vede, cuore non duole, da sempre, è una banalità buona giusto per i baci Perugina. A maggior ragione quando l'occhio è quello di Silvio Berlusconi.
E soprattutto quando non è poi così certo che l'occhio non vede.
Alfredo De Vuono