Avere un participio passato nel nome, in generale, non dev'essere propriamente facile. Si diventa facilmente, inevitabilmente e gratuitamente, protagonisti di improbabili giochi di parole, ci si presta al ludibrio lessicale di grotteschi titoli e titolisti, e s'è costretti, gioco forza, a sorbirseli per sempre. E noi, da buoni giornalisti come gli altri, non facciamo differenze. Anche se, a fare da protagonsita di tali massacri dialettici, è un piccolo mostro sacro del nostro calcio. IncolPato, emanciPato, incepPato.
Alexandre Pato è tornato, finalmente, a calcare i campi di gioco, a margine d'un lungo andirivieni dalle infermerie, ed è oggi al centro di chiari tourbillons di mercato. Ma partiamo coi dati di fatto, rimanendo sull'attualità: il giovane brasiliano è tornato in campo il 19 novembre scorso, dopo due mesi di stop, nella gara contro la Fiorentina. E pur trovando sporadicamente il gol - sono 3, in 10 partite, in questa stagione - resta un dilemma che percorre, come un brivido lungo la schiena, l'intero entourage rossonero. Ma parliamo veramente del miglior giovane in circolazione degli anni 2000, dopo Lionel Messi? Il Papero è davvero questo fuoriclasse, ancora con ampi margini di nmiglioramento, come si dice da oramai qualche anno a questa parte?
La risposta non è meno facile d'un segreto di Fatima. Perchè, dopo 4 stagioni intere in Italia, i numeri cozzano con la realtà. Pato, sinora, a soli 22 anni, ha già marcato il gol 51 volte in 108 match rossoneri. Uno ogni due partite, come solo i grandissimi di questo sport. Ma i continui infortuni, e soprattutto i risvolti che essi lasciano nelle gambe - e nella testa - del ragazzo sono dati altrettanto incontestabili. Nel Milan odierno, peraltro, il ragazzo è assolutamente avulso dal gioco, tanto da apparire come un corpo estraneo alla manovra rotonda ed avvolgente che garantiscono, per dirne una, quelli che dovrebbero essere i suoi due attuali compagni di reparto, Ibrahimovic e Boateng. Psicologicamente, in campo, il ragazzo pare continuamente poco convinto, non ancora voglioso di spingere la corsa, ostinare il dribbling e mordere il contrasto come uno con le sue caratteristiche dovrebbe fare e saper fare.
Ed allora, a ragione, sotto con le ipotesi a corredo di colui che ha un participio passato come nome.
Appunto, un participio passato. Perchè, si sa, il participio, il futuro, non lo prevede nella lingua italiana. Le voci corrono, e le richieste altrettanto. E se intanto il Milan chiede a gran voce Tevez, sbilanciandosi addirittura nel merito, beh, un motivo ci sarà. E, probabilmente, non sono poi così incomprensibili addirittura le teorie che vorrebbero il City stesso rifiutare ostinatamente la proposta rossonera, proprio perchè, in realtà, si starebbe discutendo da tempo della possibilità di scambiare il Papero con l'Apache.
Il tutto, peraltro, collimerebbe con un'altra considerazione: quella meramente economica. Il Milan prese Pato, nel 2008, spendendo oltre 22 milioni di euro. Il valore del cartellino, fino a meno d'un anno fa, era sostanzialmente raddoppiato. Oggi, invece, a seguito dei continui infortuni, e del rendimento attuale, le previsioni di svalutazione a medio termine lasciano correre il rischio di non realizzare, se davvero cessione dovesse essere, neanche uno straccio di plusvalenza. Ecco perchè non ci sembra poi così remota nemmeno l'ipotesi d'una sua eventuale cessione.
I rapporti extra-sportivi, ci si dirà, gli garantiranno posto ed avvenire. Considerazione che, consentitecelo, lascia il tempo che trova. Questo sport c'ha raccontato fin troppe ed imprevedibili storie per lasciar contemplare dal realismo la possibilità che sia questa la variabile madre, in questa storia.
Storia d'un participio passato, appunto, nel nome e nel destino. E d'un participio futuro, che, almeno qui in Italia, nemmeno esiste. Forse non a caso.
Alfredo De Vuono