Al Napoli questa febbre è scoppiata troppo velocemente. Una malaria sospetta. Troppe avversità tutte insieme. Una crisi di gioco, le incompatibilità tattiche e le incomprensioni con l’allenatore, così come le frizioni intorno ai rinnovi contrattuali, non possono acuire un conflitto in maniera così sfacciata. Dei professionisti che fino a poco tempo prima avevano onorato il loro impegno spingendolo fino a manifestazioni che si erano dimostrate più autentiche di machiavelliche esibizioni emotive, non possono andare incontro al “senza scuorno” in maniera così superficiale e irresponsabile.

Questo Napoli è troppo brutto per essere vero. Le ultime uscite non devono indurre a trascurare che fino a poche settimane fa, il Napoli possedeva un’identità di gioco che, al di là di fisiologiche imperfezioni e dettagli da mettere a punto, ne faceva comunque la squadra più vicina a un’idea di calcio votata alla qualità. I numeri di molti dei calciatori del Napoli erano, fino a poco tempo fa, allineabili a quelli dei giocatori delle grandi d’Europa. Molti dimenticano che il Napoli di Ancelotti lo scorso anno ha addirittura migliorato alcuni dati offensivi di quello di Sarri. E, fino alla partita casalinga col Cagliari, gara che rappresenta un emblematico e devastante spartiacque psicologico, gli uomini di Ancelotti erano caduti soltanto a Torino con la Juve, ma dopo aver rimontato tre reti e a causa di un’incredibile autorete al 94’. Ma quel Napoli aveva battuto il Liverpool in Champions e segnato 15 goal in 5 gare ufficiali (tra campionato e Champions).

Gli infortuni di troppi terzini, soprattutto a sinistra, l’inutilizzo di Ghoulam – per ragioni che non sembrano molto convincenti – e un’improvvisa destabilizzazione ambientale hanno scaraventato il Napoli in una progressiva e velocissima crisi di gioco e di personalità, fino a presentare una squadra che al momento è come se non avesse un allenatore e un allenatore che sembra non avere una squadra. Il Napoli e Ancelotti sono in assenza di se stessi. E, senza girarci troppo intorno, parlare solo di calcio in questo frangente sarebbe retorico e inutile. Non c’entra il campo, non c’entrano le tattiche e le posizioni dei calciatori. E non c’entrano le considerazioni sulla mancanza di vertici bassi, registi e ipotetici malumori di calciatori impiegati in ruoli a loro poco congeniali. Chi conosce questa squadra e i suoi veterani sa quanto sia poco indicativo quello che stanno mostrando. Troppo poco indicativo.

Ovviamente, i comportamenti e le reazioni mostrate nel dopo Salisburgo non hanno diritto a domandare alibi e scusanti, perché, come tutta la tifoseria ha percepito, l’avventatezza di una simile azione collettiva andava valutata con più prudenza. E, chissà, forse non sarebbe mai arrivata. Ma qui non ci si può limitare alle accuse di ordine etico e morale. Alludere a comportamenti sbagliati aggrappandosi ai contratti milionari dei calciatori rischia di sfondare la retorica, invece di sensibilizzarla. Se ogni volta si dovesse tener conto di questo aspetto, allora nessun ragionamento avrebbe valor d’essere, a vantaggio di una gelida e razionale valutazione distante da ogni approssimazione umana.


Il Napoli che deve fare per vedersi assegnare un calcio di rigore?

Molti lo stanno notando. Anche alcuni giornalisti e osservatori di ambienti esterni a quello napoletano che non aderiscono al quel negazionismo retorico e perbenista che vorrebbe ogni volta derubricare l’errore arbitrale a qualcosa di trascurabile. Il Mertens a Firenze, che, bene ricordarlo, fa il paio con un rigore assegnato alla Fiorentina che adesso sembra meno evidente (dove finisce la regola del tocco prima su una parte regolare se Zielinski la tocca prima col petto?), considerando gli episodi successivi, puniti o sanati da decisioni che hanno contribuito soltanto a confondere la casistica, si è trasformato nella scusante da commentario social adolescenziale e fazioso, a dispetto dell’ammissibilità dei fatti. Fatti che vedono il Napoli notevolmente danneggiato da decisioni (o da non decisioni) arbitrali in numero ormai tragicomico. Sono tanti, troppi, i rigori negati. O, quanto meno, è preoccupante la piega e la direzione che ha preso un certo tipo di valutazione che sembra assumere un ordine ad hoc. 

Piagnisteo? No, la disabitudine ad affrontare certi argomenti. Chi vorrebbe trascurarlo a faccenda della quale vergognarsi in nome di chissà quale senso della sportività (c’è da chiedersi quale sportività si possa chiedere all’iniquità), gioca a irresponsabilità che al calcio italiano hanno fatto e faranno sempre male. Evitare di sottolinearlo è grave, non il contrario. José Mourinho docet. Tra i pochi a dichiararlo pubblicamente a tempo debito. Tra i pochi a mettere a nudo questa insopportabile cautela ipocrita del pensiero. Una bella maschera per la malafede.

Cagliari, Torino, Atalanta e Genoa sono partite che ancora danzano su molti punti potenzialmente legati a qualche episodio di troppo e, soprattutto, a una caotica e poco chiara valutazione. Al Napoli in crisi, di fatto, si è aggiunta una serie di danni arbitrali che, sempre restando nel campo del potenzialmente possibile, con conduzioni più “accorte” avrebbero concesso alla squadra di Ancelotti il diritto al rimedio di cui hanno beneficiato le squadre più su. Al di là dei proclami televisivi che vorrebbero far passare questa serie A di chissà quale cresciuto livello, il campionato resta mediocre. E nessuno, tranne in sporadiche e altalenanti eccezioni, mostra un livello di gioco di solida e costante qualità. Juve e Inter proseguono secondo un’inerzia soccorsa dai giusti episodi (rigori compresi), in assenza dei quali (al di là della loro legittimità, ormai il var soccombe a una non sempre chiara interpretazione arbitrale) sarebbe curioso vedere come andrebbero a finire molte partite.

Dà fastidio sottolinearlo? Di tanto in tanto la realtà smascherata dà fastidio. Come sarebbe più onesto riconoscere che al di sopra di un’Inter rabbiosa, grintosa, ma con i nervi messi a dura prova dal suo stesso allenatore, c’è una Juve in cui stanno tirando la carretta Higuain e Dybala, calciatori tenuti sul mercato fino all’ultimo giorno utile. Questo a dimostrazione che nel calcio i meriti troppo spesso vengono confusi con la sua antica tendenza caotica. Tornando al principio, la morale della favola è che se giochi male, i rigori ti spettano comunque. Magari chissà, ti potrebbero aiutare a stare tra le prime e non finire nel girone dei dannati a prescindere.


La solitudine di questo Napoli

Meglio ribadirlo. Ogni genere di valutazione diretta a oltrepassare le responsabilità tecniche (ivi comprese quelle comportamentali) di società, allenatore e calciatore, non ne giustifica l’insuccesso attuale (in campionato), così come i torti e gli episodi sfortunati non devono fungere da alibi. Una cosa resta, però. Anche un paio di episodi di cronaca (subito finite nel becero protocollo televisivo di alcune emittenti e giornali) che hanno coinvolto i familiari di alcuni calciatori (Allan e Zielinski) avvisano di un ambiente che si sta trascinando tensioni in eccesso.

Un Napoli che dà la sensazione di avviarsi da solo verso una risoluzione, se verrà, dei suoi problemi laddove questi molto probabilmente non provengono soltanto da se stesso. Una considerazione anche per quella tifoseria che, reazione assolutamente comprensibile, sabato ha duramente contestato la squadra? Pure. Perché così come adesso è la società ad essere chiamata a fare le scelte più utili in merito a quanto accaduto nel suo interno (a ciascuno le proprie responsabilità), l’esterno, forse, potrebbe riflettere sulla possibilità di evitare che questo Napoli prosegua da solo.