Quando Luis Suárez Miramontes è venuto al mondo la guerra civile spagnola non era scoppiata. Il conflitto che in pochi anni avrebbe mobilitato esercito, fronti popolari, frange armate e brigate varie avrebbe fatto da sfondo alla sua prima infanzia. Di quegli anni primissimi che non si ricordano. I più fortunati ne rammentano frammenti fugaci e confusi. Quelli più limpidi restano tali perché confortati da un qualche genere di orpello postumo e romantico. 

Luis Suárez è stato il predestinato per quella generazione del ’35 prima ancora che quella del ’36 avrebbe fondato una temperie leggendaria del dopoguerra spagnolo e dopo quella del ’27, resistenza e genesi di una sponda culturale senza precedenti. Uno tra i più grandi calciatori spagnoli di sempre ha mosso i suoi sacri calci tra gli eventi di quel clima muto che è stata la lunghissima stagione franchista, guidando la Spagna verso l’unico grande successo dell’altrettanto lunghissima epoca precedente il nuovo millennio e portando, insieme a un undici di grandi fuoriclasse, l’Inter degli anni sessanta al più grande momento della sua storia.

Luis Suárez aveva già fatto lo stesso col Barcellona inviso al governo franchista, vincendo due campionati e due coppe di Spagna, alla fine degli anni cinquanta, prima di approdare nella Milano nerazzurra, dove sarebbe rimasto per quasi dieci anni, descrivendo una parabola che nessun altro calciatore dell’Inter, probabilmente, ha saputo interpretare. Per durata, contributo tattico e tecnico, per carisma, per classe, per personalità, per intendimento del gioco del calcio, intelligenza, valore dentro e fuori dal terreno di gioco. Una summa di tutto quanto la parola fuoriclasse sa contenere al di là di ogni epoca.

Suárez ha rappresentato un genere di calciatore metafora di quei personaggi della letteratura in anticipo sui tempi. Duro e ironico nella forma, lungimirante e visionario nella sostanza. Del resto quello che l’Inter pagò per avere dalla sua parte un calciatore così pare abbia permesso al Barcellona di costruire un anello in più nel suo stadio. Ancora oggi una parte consistente del Camp Nou è retta dal valore di Luis Suárez, sotto ogni punto di vista.

Come allenatore non ha avuto la stessa sorte, ma il suo unico successo resta quello alla guida della nazionale spagnola under 21. La vittoria al campionato europeo nel 1986. Un successo ancora lontano da quelli che sarebbero stati i trionfi della Spagna nel nuovo millennio. Eppure fu in quegli anni che in Spagna si avviò un processo di rinnovamento tecnico e tattico che avrebbe poco a poco condotto la nazionale e i club più prestigiosi della Liga a dominare per molto tempo il calcio spagnolo. Sia pur con un impercettibile avvio, la magia di Luis Suárez aveva anche allora lasciato il segno.