Le premesse, per il Napoli, non erano delle migliori. E nemmeno i precedenti. La squadra di Sarri veniva dalle delusioni della doppia sfida contro la Juventus - prima un pareggio in campionato che ancora grida vendetta, poi una vittoria inutile per il passaggio del turno di Coppa Italia - e si ritrovava a dover affrontare una delle formazioni più in forma della Serie A, una Lazio lanciata verso l'Europa e fresca della conquista della finale della coppa nazionale, guadagnata superando la Roma nella galvanizzante semifinale-derby. E poi, impossibile non tornare con la testa alle ultime sfide con in palio qualcosa di importante: nel 2014/2015 la Lazio vinse nel doppio scontro di Coppa Italia e, sul gong di un campionato esaltante, strappò al Napoli di Benitez l'ultimo posto utile per la Champions vincendo al San Paolo - con quel rigore di Higuain che in città è ancora bene impresso. Senza considerare, poi, la pressione per una gara praticamente decisiva per le ultime speranze di secondo posto e per il consolidamento del terzo. Insomma, il Napoli avrebbe avuto più di un motivo per entrare con qualche preoccupazione sul campo dell'Olimpico.
E, invece, la squadra di Sarri ha affrontato il match dell'Olimpico come non sempre è riuscita a fare, in momenti così importanti: con calma, con autorevolezza, con consapevolezza. Da grande. La partita è stata incanalata subito nel modo giusto e poi è stata gestita con intelligenza e soprattutto pragmatismo, quella dote che spesso il Napoli ha invidiato a Juventus e Roma, squadre che nei momenti di necessità hanno giustamente sacrificato il bel gioco sull'altare della vittoria, mettendo i tre punti avanti a tutto.
Certo, bisogna sottolineare le mancanze degli avversari, decimati dalle assenze (Inzaghi ha dovuto fare a meno di De Vrij, perno della difesa, e di Biglia, direttore d'orchestra, oltre che di Lulic e Marchetti) ma anche poco brillanti nel gioco, visibilmente stanchi fisicamente e mentalmente. Però è anche vero che il Napoli, negli ultimi anni, è riuscito a farsi piegare anche in situazioni peggiori, quasi come se fosse stato bloccato dal timore di affrontare quello che veniva dopo, quello che c'è dietro l'angolo del campionato. Una paura dell'ignoto che è rimasta fuori dall'Olimpico. E fuori dalla cresta di un Hamsik incredibilmente cresciuto mentalmente ma ancora veloce e 'ficcante' come dieci anni fa; fuori dai piedi di un'Insigne sempre più consapevole dei propri mezzi ma abbastanza maturo da riconoscere che il bene della squadra viene prima dell'ennesimo tentativo di tiro a giro; fuori dai muscoli di un inesauribile Callejon; fuori dalla rabbia di un Allan che, pur non avendo la continuità dell'anno scorso, risponde sempre presente quando viene chiamato in causa; fuori da Mertens che, pur non trovando il gol, non fa mancare il suo importante apporto. E fuori, ovviamente, dalla testa di Maurizio Sarri. Il mister ha gestito con sapienza il turnover, organizzato benissimo la partita tatticamente e preparato al meglio, nonostante i precedenti impegnativi impegni, quella che verrà ricordata come uno dei crocevia della stagione napoletana: stamattina il Napoli s'è svegliato praticamente sicuro del terzo posto (a sette giornate dalla fine la Lazio è a -7), vicino al secondo (la Roma è avanti di 4 punti, ma ha in calendario lo scontro con la Juventus e il derby di ritorno) e soprattutto consapevole di poter essere bello e cinico come solo le grandi sanno essere. E come sarà necessario essere per continuare a insidiare la squadra di Spalletti. Per continuare a sperare nel secondo posto che vuol dire Champions diretta.