È lì, sul dischetto. È pronto e concentrato: non s’interessa delle provocazioni, né se gli avversari stanno protestando. È il novantesimo dell’ultima partita dell’ultima giornata di campionato: la tua squadra del cuore si sta giocando lo scudetto contro l’acerrima rivale, e tu ti stai giocando il fantascudetto contro un tifoso dell’acerrima rivale. Ad agosto hai speso una fortuna per assicurarti quell’attaccante, ed ora dipende tutto da lui. Oscilli come un pendolo d’isteria fra nera delusione e pura felicità. Quegli undici, maledettissimi metri sembrano la Salerno – Reggio Calabria il giorno di ferragosto: infiniti e lentissimi. E poi…

 

Sì, ok, è una situazione eccessivamente paradossale, che in Serie A mai si è verificata e che probabilmente mai si verificherà. È un esempio estremo per capire quanti mal di capo possa portare l’avere in rosa l’attaccante della propria squadra del cuore. Diciamocelo chiaramente: se è vero (come è vero) che si fa prima a contare gli italiani che non seguono il calcio rispetto ai tifosi, è anche vero che per i fantallenatori questo conto sarebbe ancora più semplice e veloce. Non sono molti quelli che riescono a separare le due sfere, e se parliamo di sostenitori di grandi squadre la percentuale rasenta lo zero: difficile, se non impossibile, che si chiuda l’asta senza avere in rosa almeno un giocatore che veste i colori amati. La componente tifosa prende spesso il sopravvento rispetto alla razionalità del fantallenatore. Ed ha la meglio soprattutto quando c’è di mezzo un giocatore offensivo, un attaccante.

 

Partiamo dal principio: è agosto, si è tutti seduti attorno a un tavolo e si fanno le quattro del mattino a forza di rilanci dell’ultimo secondo. Arriva il nome tanto atteso, e si tira per venti minuti a un fantamilione per volta. La cifra si alza, si pensa di mollare ma no, quest’anno no: quest’anno deve essere mio. E alla fine, con la mano che trema d’adrenalina, si segna in lista il nome tanto desiderato.

 

È l’inizio di un rapporto tormentato, fatto d’amore e odio, di sfottò lanciati e subiti: la stabilità mentale del fantallenatore/tifoso comincia ad essere strettamente correlata alle prestazioni del suddetto attaccante. Perché da lui ci si aspetta il superlavoro, che segni e faccia vincere squadra e fantasquadra. E può essere bello, perché quando segna lui ci si alza e s’esulta due volte; e può essere brutto, perché se sbaglia un rigore gli si bestemmiano contro due calendari interi, andata e ritorno (chiedere ai napoletani che hanno avuto Cavani). E semmai quel giocatore dovesse infortunarsi… non ne parliamo nemmeno (chiedere agli interisti che hanno avuto Milito l’anno scorso).

 

cavaniCavani sul dischetto: nove fantallenatori/tifosi su dieci decisero di non guardare (getty images)

 

Il gioco, però, vale la candela. È un rischio da correre, ma è sempre meglio che essere fantallenatore/tifoso e non averlo in squadra, quel giocatore. Perché se segna quando l’ha schierato l’avversario di giornata, si scatena una terribile azione con immediata reazione uguale e contraria: da una parte s’esulta, perché ha pur sempre segnato la squadra del cuore; durante l’esultanza, però, il dottor Fantallenatore si fa spazio ed entra in conflitto con il Tifoso. Una lotta intestina che spesso vede il tifoso vincere, ma se quel goal è inutile… che succede? Siamo al limite della schizofrenia: possono verificarsi mal di testa, attacchi di panico, perdita della personalità e violenza verbale gratuita.

 

Pensate, comunque, che possono esserci situazioni peggiori. Ad esempio, che un fantallenatore si ritrovi a dover calciare un rigore in una partita di Serie A, e che quel fantallenatore si sia comprato e schierato. È il 1 settembre del 2012, si gioca Torino – Pescara: la partita è già sul 3-0 quando Rolando Bianchi, fantallenatore e attaccante granata, si presenta sul dischetto e sbaglia, annullando il bonus del 3-0 segnato poco prima. Bianchi vivrà il fantacampionato meno visceralmente di molti altri, ma sembra difficile pensare che anche lui, dopo quel -3 autoinflitto, non abbia pensato di prendersela col suo attaccante. Salvo, poi, chiedersi scusa. E mettere pace fra il fantallenatore ed il tifoso.

 

 

Antonio Cristiano