Il sospiro di sollievo di Giampiero Ventura al secondo gol di Immobile dev’essere stato qualcosa di umanamente indescrivibile. Come togliersi dalle tasche un macigno, frutto di una settimana di Nazionale difficile e pressante. Andare con ordine è complicato, mentre partire dal minuto 64 di un Macedonia-Italia per nulla scontato sembra quasi d’obbligo. Fuori Bernardeschi e Bonaventura, dentro Sansone e Parolo. Non è solo il doppio cambio che trasforma la partita, ma è il doppio cambio che potrà plasmare l’Italia che verrà.
Cercando di individuare il giorno in cui hanno deciso di rinchiudere il talento di Bernardeschi e deviarlo verso il ruolo d’ala nel 3-5-2 o, peggio, in mezz’ala, arriva la prima volta di Ventura con la difesa a quattro. Il risultato è un raggio di sole, che squarcia le nuvole di una partita rovinosa, che porta convinzioni, ma soprattutto punti. Verratti, fino ad allora schiavo del suo stesso talento e maldestramente assistito da Bernardeschi e Bonaventura, torna a brillare ed a giocare il pallone come il suo curriculum gli impone di fare. Candreva, relegato ad una fase difensiva da girone infernale, alza il raggio d’azione, lasciando ballare quel destro che disegna cross puntuali e velenosi, con quei rifornimenti che ogni attaccante vorrebbe. Sansone, da quarto di centrocampo avanzato, dona frizzantezza e mobilità. L’Italia si trasforma e arriva prima al pareggio, poi al successo.
Del 3-5-2 abbiamo bei ricordi, per esempio un Europeo giocato da sfavoriti, ma che ha innalzato le doti tecniche di un leader come Conte, vincente in Italia e convincente a livello di nazionale. Ventura però non è Conte. Per tante ragioni, riconducibili alla leadership, al maniacale conservatorismo nelle convocazioni e nello schieramento della formazione e per tante altre mille ragioni. Non necessariamente il profilo di Ventura dev’essere sottomesso a quello di Conte; semplicemente le caratteristiche sono altre. Se la prerogativa è il cambiamento e la crescita di un gruppo che possa risultare competitivo per i prossimi Mondiali (qualificazione permettendo) e oltre, allora è indispensabile rivedere certe situazioni. La prima è appunto il 3-5-2, un modulo in ascesa a livello italiano, ma assolutamente inadatto fuori dai confini nazionali. Non ho memoria, ma potrei sbagliare, di una squadra di club vincente a livello europeo che sia scesa in campo regolarmente con il 3-5-2. Si può parlare, volendo essere puntigliosi, della Juventus; ma allora non si può tralasciare un discorso di singoli. Con Dani Alvez, Alex Sandro, Evra, Lichtsteiner ed il sacrificato Cuadrado è un conto, con De Sciglio, Darmian, Bernardeschi, Candreva è un altro.
Le prove, sempre che si limitino a tali, di difesa a 4 sono state largamente positive e devono per forza smuovere in quella direzione Ventura. Svariare dal 3-5-2 per internazionalizzarsi e per lasciare quell’etichetta vecchia di squadra ermetica, ma poco costruttiva, è d’obbligo, soprattutto se le risposte, come stasera, risultano essere positive. Non me ne vogliano gli strenui sostenitori del “catenaccio all’italiana”, ma il gioco è cambiato e va palesemente in altre direzioni. Lo dimostrano pure Belotti e Immobile, due attaccanti lontani dallo stampo italiano degli ultimi anni e che, infatti, proprio sei mesi fa stavano a guardare da casa la Nazionale. Oggi firmano il successo e spazzano via il passato, vale a dire il tandem Pellè-Eder, palesemente ai titoli di coda. E’ il primo passo, forte, deciso, rumoroso.
Partito dal 64’ di Macedonia-Italia, si sente distintamente il fragore di un treno che passa, che si ferma e che spalanca le porte del cambiamento, del coraggio e dell’inevitabile crescita.
E Ventura ha il biglietto, sola andata. Non resta che salire.