Stadio San Paolo. 24 settembre. Era una torrida serata di tarda estate, quando Andrea Belotti, schierato per la prima volta titolare da Iachini, siglava le prime due reti in Serie A con una facilità disarmante e spazzando via ogni possibile emozione legata ad un palcoscenico di tal fatta. Davanti ad un pubblico attonito, il Palermo rimontava il doppio svantaggio e il Gallo sfoderava i colpi migliori del suo repertorio: il colpo di testa, dote dal sapore volutamente romantico che ogni bomber che si rispetti dovrebbe possedere, e l'istinto da killer d'area di rigore di inzaghiana memoria.
In tanti, lieti e compiaciuti, quella sera si saranno sfregati le mani. Dai tifosi che fantasticavano un tridente delle meraviglie che riportasse in auge i colori rosanero, ai fantallenatori che in sede d'asta avevano preferito il talento made in Italy all'imberbe Dybala. Ma c'era anche una buona fetta dell'opinione pubblica nazionale che, infatuata dalle prestazioni confortanti con la maglia dell'Under 21 unita ad una voglia irrefrenabile di "spaccare tutto", riponeva in Andrea Belotti un briciolo di speranza per il futuro - certamente non roseo - che si prospettava per la Nazionale italiana.
Dopo 75 giorni, ahinoi, lo scenario è totalmente mutato. L'evidente parabola discendente di Belotti attestata da un'allarmante astinenza dal gol (zero reti in 454 minuti giocati), oltre a far perdere le staffe a Iachini, sta rischiando di compromettere negativamente il suo prosieguo della stagione.
Non si tratta di un periodo di appannamento sottoporta che ciclicamente può angustiare qualsiasi attaccante. E' fuor di dubbio che Belotti non sia riuscito ad integrarsi negli schemi tattici dispendiosi dettati da Iachini. Il sacrificio richiesto agli attaccanti (vedi Vazquez e Dybala) è notevole, e nonostante un'innegabile generosità, il centravanti bergamasco appare spesso poco lucido negli appoggi in fase di costruzione a dispetto dei compagni di reparto che, dotati di un bagaglio tecnico superiore, riescono ad interpretare meglio il ruolo. La concorrenza con Dybala e Vazquez è serrata. Anzi faremmo meglio a dire che è una battaglia persa in partenza. I due argentini si intendono a meraviglia e si completano grazie anche ai miracolosi progressi maturati da Dybala nella difesa della palla e nel gioco aereo e da Vazquez nelle sue sviolinate ariose e illuminanti. Belotti, tutte le volte che ha giocato al fianco del "picciriddu", non ultima la sfida contro il Torino, non è riuscito ad integrare il suo dinamismo con le accelerazioni repentini del compagno, che di conseguenza ha giocato (divinamente a dir la verità) quasi da solo. Con Vazquez, forse, è andata meglio, ma in questo momento il Palermo - nella maniera più assoluta - non può prescindere da Dybala e allo stesso tempo Iachini, alla luce dei risultati fin qui ottenuti, non può snaturare il tanto caro 3-5-2.
Tuttavia, oltre ad una serie di motivazioni di natura tattica, c'è una componente motivazionale non indifferente. Non parliamo di un complesso di inferiorità, ma piuttosto di quella "voglia di spaccare tutto" che, quando lo vediamo puntare la porta a testa bassa e perdere puntualmente e pericolosamente palla, assume i contorni di una rabbia sterile e per lo più frustrata.
Fortunatemente il ragazzo è giovane e soprattutto umile. Sarà compito di Iachini disciplinarlo. Noi lo aspettiamo a braccia aperte.
Giovanni Migliore