Scrivere di Inter è oramai diventata impresa ardua, per cuori forti. Al punto tale che è necessario ricorrere al caro e vecchio dizionario, perché trovare le parole giuste è sempre più difficile. Vediamo cosa ci suggerisce il vocabolario:
VERGOGNA: Profondo e amaro turbamento interiore che ci assale quando ci rendiamo conto di aver agito in maniera riprovevole o disonorevole.
DIGNITÀ: Rispetto che l'uomo, conscio del proprio valore sul piano morale, deve sentire nei confronti di sé stesso e tradurre in un comportamento e in un contegno adeguati.

È evidente che questi due sentimenti, requisiti minimi e indispensabili per lo svolgimento di qualsivoglia attività umana, non alberghino dalle parti di Appiano. Così come abitano lontano dallo spogliatoio nerazzurro anche l’orgoglio, il rispetto per sé stessi e gli altri ed un minimo di amor proprio.

La sconfitta subìta contro il Genoa, l’ennesima di una stagione sciagurata (ennesima, anche questa!), porta via con sé ogni necessità di analizzare un gesto tecnico, la disposizione tattica o una semplice giocata: a Marassi questa squadra ha confermato di non essere in grado di reagire a nulla. Il gruppo capitanato da Icardi è impermeabile a tutto: non c’è sconfitta, critica, ritiro o contestazione che tengano.
Proprio la sostituzione di Mauro Icardi, nel bel mezzo di una gara da recuperare, è un segnale che mister Pioli ha voluto lanciare. Ma non al gruppo, ormai totalmente sfaldato e consapevole di questo, al punto tale di ostentarlo con queste prestazioni oscene. Quello di Pioli, a giudizio di chi scrive, voleva essere un chiaro segnale da recapitare all’esterno: società e tifosi.

Non si comprende dall’alto di cosa, un gruppo che, messo tutto assieme, ha vinto poco o nulla in carriera, si possa permettere di snobbare la qualificazione all’Europa League, appuntamento al quale, invece, sarebbe stato importante presentarsi. Per diversi motivi: in primis perché è pur sempre una vetrina continentale ma, soprattutto, perché ti consente di “allenarti” al calcio europeo, che ha altri ritmi e pulsazioni. Senza considerare che giocare ogni tre giorni ti “costringe” ad essere sempre sulla corda, sempre pronto, esattamente come quando dovrai fare se (e quando) riuscirai ad andare in Champions. Perché la mentalità e l’abitudine vanno costruite nel tempo. 
Peggio ancora sarebbe se questo input fosse arrivato dalla dirigenza, più favorevole a prendere parte alla tournée estiva in Asia, piuttosto che ai preliminari di Europa League. In tal caso significa che per l’Inter si prospettano ulteriori tempi bui. Ma voglio essere ottimista – sigh! – e pensare, convintamente, che si sia trattato di una decisione presa deliberatamente da chi scende in campo, così come confermato dalle agghiaccianti parole pronunciate da D’Ambrosio, nella settimana che ha preceduto la figuraccia di Genova.
Del resto, non sarebbe la prima volta che questo gruppo “assume” decisioni in piena autonomia, com’è stato, probabilmente, per Frank De Boer, scaricato da Miranda e compagnia.

In momenti come questi, verrebbe da pensare che la soluzione migliore, l’unica, forse, sarebbe quella di fare tabula rasa, dal vice-presidente fino all’ultimo dei magazzinieri, tanto pare irrecuperabile la situazione, tanto sembra guasto l’ambiente interno alla squadra.
Risulta difficile immaginare qualcosa o qualcuno da cui ripartire, nonostante vi siano stati tre mesi molto buoni, quest’anno, in cui la squadra s’è espressa bene. Ma è misera cosa al cospetto dello scempio perpetrato durante tutto il resto della stagione.

Quand’anche dovesse arrivare uno dei guru accostati alla panchina dell’Inter in queste settimane (Conte o Simeone) appare difficile che “soltanto” questo possa bastare ad invertire la tendenza, a ricostruire qualcosa di cui, oggi, c’è nulla. Anche alla voce calciatori si fanno nomi altisonanti e dal sicuro rendimento. Eppure nemmeno questo potrebbe dare la certezza – per quanto di certo vi possa essere nel calcio – che dalle ceneri di questo gruppo, ormai abbondantemente consumatesi, vi possa essere la scintilla in grado di innescare un big-bang, una nuova vita.
È inevitabile ristrutturare l’aspetto societario della gestione sportiva e tecnica, ma questo va fatto prima di assumere ogni altra decisione e va fatto con forza, senza guardare in faccia nessuno. Nell’interesse dell’Inter e dei suoi tifosi, che non meritano altre prestazioni da squadra “non pervenuta”, non meritano altre stagioni buttate al cesso dai capricci di qualcuno.
Perché se anche fosse stato il gruppo a “decidere” di giocare al tanto peggio, tanto meglio, rinunciando all’Europa League, la responsabilità principale andrebbe accollata addosso ad una società che glielo ha concesso, che non ha subodorato l’andazzo dello spogliatoio e non è stata in grado di porre rimedio. Se caporali e generali sono distratti, impreparati o inadatti, peggio ancora se si fanno la guerra l'un l'altro, allora i soldati andranno a ruota libera, seguendo un pari grado, nella migliore delle ipotesi. Ma non è così che funziona: gerarchia e competenza, rispetto dei ruoli e interesse supremo della squadra, devono stare al primo posto. Per tutti.

Il fatto stesso che si aspetti l'annuncio del prossimo allenatore come se fosse il Messia che viene a salvare l’Inter dal proprio atroce destino, ci fa capire che, già in partenza, vi è l’accettazione dello status-quo, con la consapevolezza che i successi e le sorti della squadra saranno sempre determinati a quelle del “guru” di turno, quando invece il successo costante, l’essere ad alti livelli sempre, è un qualcosa che si costruisce dall’unione di più elementi, più esperienze e competenze. Non è un qualcosa che può essere determinato da un unico soggetto.
La sensazione che si ha è che il popolo nerazzurro aspetti sempre questo deus ex-machina che venga a risolvere i problemi. In parte ciò è influenzato dalla storia del club nerazzurro, con Herrera, Trapattoni, Mancini e Mourinho che hanno già ricoperto, nel passato, il ruolo di “demiurgo” dei successi interisti. Ma il concetto da tenere presente è che se anche dovesse arrivare il salvatore della patria, potrà andare bene per 2-3 anni, poi, inevitabilmente, questo andrà via e si tornerà come prima.

È indispensabile costruire una struttura seria, sempre presente e pensante, alla quale l’allenatore o il campione di turno potranno aggiungere un qualcosa, ma non sostituirsi alla sostanza che deve essere sempre presente e incarnata da un gruppo di dirigenza sportiva e tecnica. Prego nota bene: UN gruppo di dirigenza: non questa fazione contro un'altra. Altrimenti si rischia di ripiombare in altre stagioni come questa - come queste – in cui si arriva a provare un distacco totale dalle vicende nerazzurre, tanta è la nausea nel dover “ammirare” certe prestazioni, la rabbia nell’ascoltare certe parole, il disgusto nel vedere determinati atteggiamenti.
Al punto tale che, non senza una punta di amarezza, viene da pensare che questa squadra, che ha sputato sul piatto dell’Europa League, inanellando figure da perecottari, meriterebbe di retrocedere. Magari al posto di quel Crotone che, invece, nonostante la matematica stia materializzandosi sempre più come scure sulle speranze di salvezza dei pitagorici, continua a sputare sangue. Con tanto orgoglio e dignità.