Forse il Napoli coraggioso e spregiudicato di Maurizio Sarri è stato battuto dal vero uomo squadra del Real Madrid. Sergio Ramos sembra ormai aver trovato le strategie e i colpi del risolutore. Non ce ne vogliano gli innamorati del cyborg Cristiano Ronaldo, che, a ben guardare, quell’acronimo vezzeggiativo a mo’ di formula matematica lo merita tutto, nel bene e nel male. Ognuno stabilisca dove sia il bene e dove sia male secondo se stesso.
Il Napoli-Real Madrid andato in scena al San Paolo per la gara di ritorno degli ottavi di Champions League ha ricordato molto da vicino la brusca frenata ai sogni di gloria del Napoli di Diego Armando Maradona di trent’anni fa. Allora, come per l’andamento di quest’ultima, il Ciuccio seppe disputare uno tra i più bei primi tempi della sua storia, mettendo alle corde un Real stordito dal ritmo partenopeo e salvato, di fatto, da alcuni episodi fortunosi e alcune parate miracolose del suo portiere. Il Napoli-Real Madrid 2.0 (perdonate l’espressione che si approssima al piacere di nuovo millennio marchiato CR7) ha visto l’undici di Sarri meravigliarsi persino di se stesso, superando di netto, in un primo tempo da idillio pallonaro, una Casa blanca venuta a Napoli con tutto l’armamentario della visita dell’imperatore, ma senza messaggio. Kafka avrebbe di certo consentito l’accostamento amaramente ironico.
Il Napoli fanciullo e spensierato guidato dal subcomandante Sarri, tuttavia, aveva anche chiuso molto meglio la prima frazione rispetto a quanto fatto da quello di Maradona. E sì, perché allora, tra lo stupore e la delusione generali, dopo 44 minuti di calcio perfetto, l’unico errore in disimpegno di un grande Francini mandò in porta un Real cinico e spietato. 1-1 e fine delle speranze di qualificazione.
Nella gara successiva al 3-1 patito al Bernabeu, invece, il goal di Mertens ha chiuso un primo tempo tanto straordinario quanto ricco di grandi promesse. Ma, come trent’anni prima, la verve azzurra ha dovuto arrendersi alla forza e all’esperienza di chi sa essere uomo chiave degli scrigni assai preziosi. Sergio Ramos è oggi uno tra i calciatori più determinanti del calcio mondiale. Negli ultimi anni i suoi goal, i gol alla Sergio Ramos, hanno consentito alle merengues di raggiungere grandi successi. Solo per citarne alcuni tra i più recenti, quelli nelle due ultime Champions League vinte dai blancos a danno, in entrambe le occasioni, dell’Atletico Madrid. O, non meno determinante, quello segnato al Siviglia nella finale di Supercoppa europea del 2016. E, di fatto, se il Real Madrid a Napoli non ha rischiato la capitolazione, lo deve alla doppietta tutta potenza e veleno del suo difensore centrale, ancora una volta, l’ennesima, in grado di sopperire agli affanni di compagni di squadra più qualificati alla risoluzione offensiva.
La Champions League è fatta così. Colpisce a tradimento e lo fa, spesso, attraverso chi ha dimestichezza coi cambiamenti di rotta effettuati con timoni durissimi al controllo. Se c’è una didattica delle partite, il Napoli dei giovanissimi talenti ha ricevuto una lezione che nel tempo potrebbe rivelarsi preziosissima. Ad altri maestri la capacità di impartirla con le glosse e i commentari giusti (Sarri e la società?).
Qualcuno voleva la rivincita di trent’anni fa e, sebbene qualcosa si sia messo diversamente, tutto il resto è andato come nel 1987. Dei sei goal subiti dal Napoli nella doppia sfida col Real, quasi tutti sono originati da palloni persi in fase di palleggio, in un paio di occasioni anche in maniera ingenua. Proprio come nel disimpegno letale di Francini. Del resto, è stato un filosofo napoletano, il celebre Giambattista Vico, a elaborare la teoria dei corsi e dei ricorsi storici. A volte sembra che certi destini, allevati tra l’errore e l’ingenuità, siano il contrassegno perpetuo di chi vorrebbe liberarsene. Meglio non soffermarsi più di tanto. Certe soste procurano solo nostalgia e amarezza. Sul resto, diversamente, sia l’allenatore a capire laddove c’è da prendersela con se stessi. Marcatura a zona, a uomo, fase difensiva e tutto il resto, a voler essere onesti, sono soltanto espressioni da day after. Facile adottarle quando ormai tutto è compiuto. Roba da giornalisti antipatici.
Restano le rimembranze, a rendersi tali come preziosi momenti da portarsi dentro. Il secondo Napoli-Real nella storia del Ciuccio è arrivato trent’anni dopo il primo. Che si ripeta presto, che diventi quasi un’abitudine, così da scongiurarne definitivamente il rischio del sacro tabù e di scovare, magari al più presto, l’antidoto ai veleni dei Sergio Ramos e le formule proprie del successo.
Lassù, intorno al rettangolo di gioco, come un fiorire collettivo e serbato quasi di nascosto, migliaia di persone hanno saputo comprendere la straordinarietà, perdonandone le imperfezioni, le ingenuità e il fallimento, come fanno le grandi tifoserie. La gioia e la gratitudine dei tifosi del Napoli è stata una dimostrazione di maturità che aspetta un’altra maturità. A Napoli l’attesa è un’arte, nelle piccole e nelle grandi cose. Anche in questo caso, permettete, ognuno stabilisca secondo se stesso quali siano le piccole e quali le grandi cose.