Semmai vi sopravviverà, quell’alone cupo e verdastro di certe uscite, terrà compagnia alla desolazione finita tra i ruderi di certe riflessioni. Chi sarà soddisfatto di avervi percepito un qualche margine di vanità, inciamperà sulla prima pietra.
Fa quasi tenerezza accorgersi di certi articoletti che, di tanto in tanto, compaiono in rete come i funghi che qualcuno, per propria abitudine dovrebbe limitarsi a recensire, senza oltrepassare certi confini interdetti agli affetti di esibizionismo acuto.
È saltato agli occhi della severità internauta, un articolo dove, con non poche inesattezze, il suo autore ha tentato l’operazione di rilancio della provocazione, cercando di evidenziare presunte anomalie retoriche dietro il dispiacere per quanto accaduto alla Città della Scienza di Napoli.
Prima di tutto, la citazione dei “piezz’e’core”, così “abilmente” utilizzata dall’autore, è attribuita in maniera errata, perché non è del testo di Filumena Maturano, di Eduardo De Filippo, ma forse di “acuti poetici” della sceneggiata, che poco ha a che fare con la tragedia familiare del drammaturgo napoletano. È inesatta l’elencazione, piuttosto maldestra, del campionario, secondo l’autore, alquanto limitato, del museo scientifico, non dotato soltanto di “telescopi e caleidoscopi”, e qui, tempo e dignità desiderano, che non ci si soffermi a spiegare cosa e quanto vi fosse contenuto.
Sulla valutazione sindacale dei dipendenti che non percepivano lo stipendio, un sorriso amaro giunge a farci immaginare che se un giorno, mai accada, un importante museo non pagasse gli stipendi ai suoi dipendenti, allevierebbe la pena di vederlo improvvisamente bruciare, oppure che si potrebbe addirittura ipotizzare un nesso di giustificabile ritorsione dietro il rogo “punitivo”. Per la serie, se una cosa non funziona, che bruci pure.
E, volendo allargare con l’umorismo più nero e fuori luogo possibile, ne dovrebbero bruciare, in Italia, e non solo in Italia, di musei e siti turistici, se lontanamente si dovesse augurare loro il bene o il male delle fiamme attraverso criteri puramente “sindacali”.
Sorvolando su citazioni messe un po’ qui un po’ lì col garbo del cattivo gusto, sorvolando su certe considerazioni da avventurieri della piromania, l’unica cosa che si riesce a cogliere dietro questo articolo, oltre all’estrazione altrettanto avventurosa di maldestre esegesi, è l’accordo simulatorio con qualche tendenza politica non bene identificata, senza nulla aggiungere, nostro malgrado, attraverso integrazioni costituzionali che nemmeno le più scontate difese d’ufficio avanzerebbero. S’avverte e come, il sentimento “nordoide”, e nemmeno di prima scelta. E s’avverte pure l’insulto, truccato alla bell’e meglio al netto di ovvi mandati avallati da un clima lungo più di un secolo.
Non ci sia fraintendimento, per carità. Nessuno qui si sente scandalizzato. Ci mancherebbe altro, se non lasciarsi scappare e confessarlo senza indugio, il mezzo sorriso di fronte a certe uscite. Si proviene da luoghi e terre che lo scandalo l’hanno inventato, e con esso hanno escogitato pure le fughe e le ritirate, ivi comprese le formule per il dovuto biasimo snob e per nulla scalfito.
Quanto a certi tentativi, si eviti di fare in modo che un mestiere già troppo violato da vanesie e frivole azioni esibizioniste, finisca definitivamente nella gattabuia del ridicolo. Ci si aggiri, invece, tra i ruderi di quel che si è scritto, e non s’avrebbe gioia più grande se fossero soltanto quelle, le rovine di chi tra esse sa soltanto giocare a rimpiattino.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka