Il dopo Atalanta ha ascoltato le curve cantare per una squadra che non si è pianta addosso. I cori più significativi, quelli dei periodi più speranzosi, hanno detto agli uomini di Luciano Spalletti di aver capito che la discesa in classifica non può essere imputata a niente che non sia quella di cui gli ossessionati dal vittimismo non vogliono sentire parlare: la sfortuna. Eppure, senza scomodare i dibattiti sul caos e la letteratura, esiste pure quella. Esiste a modo suo, senza dichiararsi, talvolta mimetizzandosi proprio dove diventa difficile avere certezza se sia tutta colpa sua o se ci sia pure dell’altro.

Dalla vigilia di Inter-Napoli i partenopei non hanno trovato più pace. Non è il covid, che forse è toccato e tocca un po’ a tutti (concetto anche questo discutibile), non sono gli infortuni (che pure possono coinvolgere gran parte delle squadre (questo è ancora più discutibile). È la combinazione, è la forma della manovra imprevista e contraria a incidere sul corso degli eventi.
Tralasciando le polemiche sulla gestione della preparazione atletica – un aspetto su cui solo i tecnici direttamente interessati conoscono la situazione – una sequenza di eventi e di infortuni hanno arrestato bruscamente la corsa di una squadra che aveva tra i migliori rendimenti d’Europa.

A Milano, all’inizio del secondo tempo, lo scontro di Osimhen, senza contare la positività al covid di Politano, Zanoli e Demme, ha inaugurato una serie di infortuni di uomini troppo importanti per non essere determinanti. In precedenza, la gara di Europa League con il Legia aveva messo fuori uso Manolas, lontano dal terreno di gioco da diverse settimane.

Con la Lazio il Napoli aveva potuto contare sull’apporto di Koulibaly, Fabian Ruiz e Insigne. Gioco a risultato avevano detto molto. Così come nella trasferta dai due volti di Reggio Emilia, l’uscita di Fabian Ruiz e Mertens a mezz’ora dalla fine aveva immediatamente condizionato degli equilibri che i rientranti Demme e Politano non avevano potuto garantire. L’uscita di Koulibaly aveva poi probabilmente danneggiato la tenuta difensiva nei minuti finali, in cui il Napoli aveva subito il gol del pareggio. Senza contare che nella trasferta di Mosca, prima della Lazio, Spalletti aveva dovuto rinunciare a mezzo organico, senza poter operare cambi tatticamente significativi.

Con l’Atalanta, indisponibili: Koulibaly, Osimhen, Anguissa, Insigne, Fabian Ruiz e Manolas. I primi cinque costituiscono parte fondante dell’impianto tattico e della tenuta atletica. A gara in corso, sul 2-2, anche Lobotka è stato costretto a lasciare il campo per infortunio. L’uscita dell’uomo che stava costituendo la nota positiva delle ultime gare ha visto il Napoli sbandare nell’equilibrio e subire il gol partita dei bergamaschi.

Nonostante tutto, la prestazione casalinga coi nerazzurri ha fatto registrare un rendimento al di sopra di ogni previsione, considerando le defezioni. Un inevitabile utilizzo cauto di Mertens (che non viene impiegato per oltre un’ora proprio a causa della necessità di preservarne l’integrità) e l’impossibilità di dare respiro ad alcuni uomini hanno fatto e, di fatto, continueranno a fare il resto.

Se si osservano gli andamenti degli infortuni e delle gare in cui sono mancati tanti calciatori, fino anche all’andamento stesso in ogni singola partita, emerge evidente il dato per cui l’eccesso di assenze (e che assenze) sta mettendo a rischio una stagione in cui il Napoli si era candidato a recitare un ruolo da protagonista.

Il calendario, gli scontri diretti, la fase decisiva nel girone di Europa League (l'appuntamento col Leicester è tanto complicato quanto decisivo) e l’approssimarsi della tanto temuta Coppa d’Africa (Anguissa e Koulibaly potrebbero prendervi parte facendola scontare paradossalmente due volte) stanno e potranno ulteriormente amplificare gli effetti di questa fase negativa determinata dagli infortuni. In un momento delicato della stagione. Al bivio delle delusioni e di un recupero che al momento appare ancora lontano e di non semplice risoluzione.