Era destino, l’aneddoto razzista dove prendere la piega dell’accaduto spiegazzato a più riprese. L’episodio del precampionato invernale più discusso della vigilia del giro di boa.
Mentre i media si sono sbrigati a preparare il videocarosello delle dichiarazioni perdute, quelle degli allenatori improvvisati retori del libro cuore in versione calcistica, hanno fatto da sfondo le uscite in diverse tonalità, un po’ dappertutto, e con tutta la prevedibilità del caso.
In ottave sotto e in ottave sopra, la sinfonia della bacchetta magistrale ha dettato il ritmo delle dichiarazioni dal sapore populista, altre dall’aria snob e per nulla turbata, qualcuna coi manuali di diritto sotto il braccio e qualche altra con l’allegato del suggerimento confuso e contraddittorio.
Considerando quello che sui campi di calcio italiani si vede da una vita, da queste parti vale la regola dell’alunno alla lavagna. Se ci casco io, me la svigno e faccio finta di nulla, oppure protesto e, piagnucolando, accuso di ingiustizia il designato a mantenere il silenzio. Se invece alla lavagna ci sto io, allora segno chi mi pare e consumo il gesso a furia di segnalazioni dettate dall’amore per la santità e il buon gusto del virtuosismo.
Non poteva mancare il commento di Blatter, la bolla quadro della FIFA nella persona dell’eterno capo del pallone. Per Blatter il discorso si riassume nell’ode fasulla e artificiosa all’etica da rotocalco e con la bacchettata all’abbandono un po’ anarchico di Boateng e compagnia rossonera.
“Chi abbandona il campo subisce la sanzione della sconfitta a tavolino” - pare abbia dichiarato il Joseph laico che un po’ si sente papa di questo soccer internazionalizzato.
Passi il monito sulla faccenda dell’abbandono. In fondo, giù le maschere, se il fattaccio fosse accaduto in ben altro tipo di partita, la conclusione sarebbe stata diversa. Azzardiamo il pronostico a ritroso, giochiamo alla previsione per assurdo. Forse, qualora fosse stata un'altra, la partita sarebbe proseguita e si avrebbe avuto meno materiale per dirne di cotte e di crude?
Ce ne fosse stato uno che, da uno dei pulpiti targati di sponsor ed etichette, abbia detto che la simulazione jungle del "coro scimpanzè" dura da decenni, che ogni domenica sventolano bandiere con svastiche e altri simboli poco rassicuranti, che alcuni gruppi di tifosi stendono striscioni lunghi decine di metri, retti da decine di persone, che inneggiano a catastrofi e disgrazie. Ce ne fosse stato uno che si sia ricordato di quante volte sarebbe stato il minimo abbandonare palla e partita, per andarsene a riflettere ognuno a casa propria.
Adesso, per carità, non scambiamo le dimenticanze sull’aneddotica e la sua frequenza con la ridicola scusa per questi episodi. È soltanto che, in certi momenti, pare che qualcosa accada pure con la garanzia del giusto e cauto riparo. Se disavventure dovessero ripresentarsi, che il clamore esploda pure in altri momenti. Quanto a soluzioni, se proprio vogliamo tenerci questa nevrosi delle soluzioni a tutti i costi, sarebbe forse più intelligente rendersi conto che per certe cose le soluzioni non sostano presso luoghi dove il gioco s’atteggia a cosa seria. E questo credo che Blatter lo sappia.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka