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E' domenica 24 luglio 2016, sono da poco passate le 12,30. A Fiumicino è appena atterrato il volo Ryanair FR9667. A bordo - ma non è una sorpresa - c'è anche Ciro Immobile. Lo sapevano tutti, dai tifosi della Lazio ai giornalisti, che sfidare l'afa e il battente sole capitolino sarebbe stato un sacrificio. Ma erano anche consapevoli del fatto che andare ad accogliere e cercare di carpire gli umori a caldo dell'erede di Miroslav Klose avrebbe superato di gran lunga qualsiasi lamentela climatica. Perché di questo stiamo parlando: di chi raccoglierà il testimone dalle mani del panzer tedesco per i prossimi cinque anni. Prima analogia: il ciclo romano dell'ex Bayern si è chiuso proprio dopo un quinquennio, fatto di tante luci e qualche ombra. Ma tant'è: curriculum alla mano, per l'intero ambiente biancoceleste è stato un lusso veder giocare all'Olimpico nientedimeno che il top scorer nella storia dei Mondiali di calcio. Ebbene: forse per la fresca nostalgia dell'addio di Klose (54 gol in serie A in 139 apparizioni, non dimentichiamolo), o per lo scetticismo decennale nei confronti della società, o per quel senso ormai diffuso di frustrazione e di scoramento, fatto sta che Immobile non ha nemmeno messo piede a Roma che già si sentiva aleggiare tra radio, social e quant'altro il malumore per il suo arrivo. Sinceramente, un atteggiamento incomprensibile. Ma il nostro obiettivo non è andare a colpire questo o quell'altro con un'opinione, bensì formulare una tesi chiara. Che ha alla base un'ipotesi non così azzardata: Immobile non è un erede di Klose, ma l'EREDE IDEALE di Klose.

In primis, è doveroso fare il punto sui compagni di reparto che lo stesso centravanti tedesco ha visto avvicendarsi nella Capitale dal 2011 al 2016. Perché ragionare per differenze a volte può essere molto utile. Tutto cominciò con Tommaso Rocchi, uno che il suo nome l'ha legato a vita a questi colori, simbolo dei "nove acquisti in un giorno" quando Lotito era freschissimo di insediamento alla presidenza laziale. Andò all'Inter pochi mesi prima della leggendaria finale del 26 maggio: forse sarà un rimpianto che si porterà dietro a lungo. Ma lasciò l'Aquila con la certezza che Klose avrebbe fatto la storia così come l'aveva fatta lui. Siamo al punto iniziale di una parabola che, spulciando i numeri di chi lo seguirà a ruota sul prato dell'Olimpico, non può non essere definita discendente. Cissè, Saha, Perea, Postiga, Djordjevic, Matri. Tutti omologhi tra loro, parlando soltanto di ruolo. Ma quanti di questi, prim'ancora che atterrassero a Fiumicino, potevano far pensare che un giorno, con Klose ormai volato verso lidi lontani, il progetto di crescita tecnica e di blasone sarebbe stato riposto in ottime mani, garantendo la continuità con un passato di tutto rispetto? La risposta: nessuno. Noi ci fidiamo solo dei numeri:

1) Cissè: 18 presenze in campionato, 1 gol;

2) Saha: 6 presenze in campionato, 0 gol;6

3) Perea: 24 presenze in campionato, 1 gol;

4) Postiga: 5 presenze in campionato, 0 gol;

5) Djordjevic: 51 presenze in campionato, 11 gol;

6) Matri: 19 presenze in campionato, 4 gol.

Nulla di nemmeno lontanamente paragonabile alla media di 0.39 gol a partita del campione teutonico. E non prendiamo in considerazione le coppe, giusto per non infierire.

Ora, perché dare fiducia a Ciro Immobile? Per una serie di validi motivi. Il primo ce l'ha fornito Simone Inzaghi in persona. "Sta per arrivare Immobile", disse in conferenza stampa il giorno prima dell'arrivo in Italia del napoletano. Una dichiarazione a metà tra l'insofferenza nel notare la penuria di alternative nel proprio reparto offensivo e l'intrepida attesa nell'allenare un signor giocatore. E se freme Inzaghi, ci sarà un motivo. 28 gol in 37 partite a Pescara in B, quando Zeman fece esplodere il suo nome nel calcio che conta. Altri cinque al Genoa, al debutto assoluto in A. E' in fase calante? Non è all'altezza della competizione? Macché. La rivincita arriva dodici mesi dopo: VENTIDUE centri in 33 presenze con il Torino e titolo di capocannoniere 2013/2014. Ripetiamo: capocannoniere. Appena due anni fa, non chissà quando. E poi il grande salto al Borussia Dortmund, con cui alza al cielo la Supercoppa di Germania e sigla ben 4 reti in Champions. La parentesi discreta a Siviglia, il ritorno in grande stile al Torino, la convocazione a Euro 2016. Nulla di tutto ciò può essere frutto del caso.

Adesso, una cavalcata coi fiocchi all'orizzonte. Perché Immobile, con la totale fiducia del proprio allenatore, può davvero fare la differenza. Osservate bene i suoi movimenti: sono quelli tipici del killer dell'area di rigore, integrati alla perfezione con gli insegnamenti recepiti (scuola Juventus) per rientrare a tutti gli effetti nella categoria "attaccante moderno", ossia quello che partecipa alla manovra e che quindi non aspetta solo la palla per buttarla dentro. E' vero, la sua carriera, a livello di riconoscimenti e importanza, non può essere messa sullo stesso piano del suo illustre predecessore, ci mancherebbe. Ma alla Lazio non importa: in campo non scende la storia, ma l'anatomia. E se proprio vogliamo attenerci esclusivamente alla Serie A - soprattutto perché Biglia e compagni non giocheranno le coppe il prossimo anno - ricordatevi ancora una volta chi ha vinto la classifica marcatori di due anni fa. Ciroslav Immobile: un gioco di parole immediato che potrebbe celare un fondo di verità. Rigorosamente a colpi di +3.

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