La festa più lunga. Che non avrà mai fine. Lo scudetto l’ha soltanto scoperta. Un sipario si aperto sopra un’azione in corso da nessuno sa quanto tempo. Una mano invisibile ha sollevato il velo sopra una felicità scomoda e abbagliante. I piccoli piccoli mormorano nell’ombra di invidie nuove e antiche. L’inarrivabile per loro è sempre più inarrivabile, mentre per chi in questo grande carosello napoletano ci si sente a suo agio le spoglie di guerra cadono come petali di rose. 

Il gol di Raspadori a Torino e il crollo ricolmo di sollievo di Zielinski hanno decretato la fine della paura. Non perché in quella gara di fine aprile fosse a rischio qualcosa messo al sicuro già molto tempo prima, ma perché questa storia ha scelto un momento preciso per liberarsi di un’inquietudine che troppe volte aveva fatto i conti con gli stessi fantasmi.

Ed è stato in quel momento che un luogo già addobbato per tempo e da tempo ha iniziato a celebrarsi per una festa destinata a durare mesi. Vincendo il titolo e le diffidenze di chi avrebbe voluto imbrigliarne esplosione e diffusione, inciampando in luoghi comuni e squallori demodé, un’intera città ha deluso le speranze di chi avrebbe voluto sparlarne a dismisura e ha cullato col suo ardore inimitabile quello che a piena dignità a lungo è passato sotto il nome di sogno. 

Nel luogo del sogno per eccellenza quello più grande si è schiuso agli occhi di chi, non pensate che sia diverso, il giorno dopo tornerà ai suoi dolori privati, alle preoccupazioni e tutto il nero di quel patimento individuale e collettivo che conosce bene la differenza tra la gioia e il dolore, visto che tutta la felicità espressa in queste settimane si compone di una serie incalcolabile di storie personali che hanno trovato riconoscimento e dignità in una soddisfazione attesa tanti anni.

Nell’ultimo atto di una festa che troverà il suo sfogo ancora per molto hanno trovato la giusta misura tanto le presenze quanto le assenze, tanto le cose da ricordare quanto quelle da trascurare. Una civiltà costantemente sotto osservazione si è mossa indifferente a certe spinte esterne in vena di civilizzazione. E una intimità indomita e gentile si è scatenata mostrandosi senza esibirsi.

Queste settimane di festa hanno rassomigliato un po’ a quello che la squadra ha costruito nel corso della stagione. Un’impresa sportiva iniziata dalla diffidenza e finita dentro il trionfo. E un coro a due voci ha insegnato qualcosa a se stesso e qualcun altro. Di certo, però, in questo caso nulla conta e conterà più del se stesso.