Se il "Capitano" di Walt Whitman è stato parafrasato a sufficienza per elogiare i quelli di lungo corso di questo calcio che ammaina molte, troppe bandiere, quello del poeta americano non è l’unico che potrebbe adattare l’ode letteraria agli eroi del pallone. E che il Carlo Didimi di Leopardi ci perdoni.
Marek Hamšík, il capitano a un passo dal limite Maradona, ormai vicinissimo al varco ultimo della gloria partenopea, proviene da una città, la Banská Bystrica slovacca, devastata dalle rappresaglie tedesche del ’44, incuranti, allora, pure della presenza bambina e innocente di una popolazione inerme, in una città che in Europa non gode di chissà quali notorietà. E pure lui, l’Hamsik venuto dalla raffinata provincia bresciana (del calcio, sia ben chiaro), formatosi presso la “Leonessa d’Italia”, arrivato a Napoli scovato dal Ciuccio del nuovo corso, destinato, da nuovo eletto, a prendere il comando di una nave che non sa ancora dove arriverà, con la sua cresta cresciuta piano piano, adesso si avvicina al nome che a Napoli è la legge quadro della venerazione. Superato Attila Sallustro, la vetta del "cannonierato" napoletano è adesso vicinissima.
Marek Hamšík ricorda un po’ quel poeta slovacco, Ján Francisci-Rimavský, meglio conosciuto come Ján Francisci, che ebbe molti nomi: Janko, Slavo?ub, Vratislav. Il poeta slovacco che fu di quasi tutto un secolo, l’Ottocento della Slovacchia insurrezionalista, incarcerato e poi scarcerato. Tra la scrittura e la politica, la rivoluzione e la letteratura, Francisci divenne capitano dei volontari slovacchi, sempre a difesa dell’identità nazionale contro le imposizioni dei regni dominanti.
Eppure, circa mezzo secolo dopo, ma molti anni prima dell’avvento del “dio” Dieguito, proprio a Napoli un altro prodigio letterario aveva trovato la sua prima “clandestina” pubblicazione. I versi del Capitano, di Pablo Neruda, furono pubblicati, per la prima volta e in forma anonima, proprio nel capoluogo campano, precisamente nel 1952. Un libro fatto di amori e di confessioni, di identità celate e di rivelazioni. Un po’ come il capitano rivelatosi poco a poco durante il rinascimento azzurro sotto la guida di Aurelio De Laurentiis, l’attuale patron maximo che, su suggerimento di Marino, ha regalato ai tifosi partenopei l’asso venuto dall’est e transitato per la provincia lombarda.

Il primo goal di Hamsik nella gara di Bologna, di fatto, ricorda molto da vicino proprio le segnature tipiche del Pibe de Oro. Quei goal di testa frutto di astuzia, imprevedibilità e guizzo geniale. Il colpo di testa dello slovacco è stato di notevole difficoltà, nonché di difficile esecuzione. La coordinazione, la posizione del corpo, il colpo alla palla, la sua direzione, l’angolo di campo e la sua destinazione ne riassumono tanto il coefficiente di difficoltà quanto la sottile e raffinata traduzione in goal.
La parte più bella di quella rete, forse, resta nell’idea, nella capacità di averla immaginata, pensata e resa possibile da un gesto atletico e tecnico di rara bellezza, come a volte succede con i goal più belli, quelli che non risultano appariscenti, ma che conservano una totale e purissima intenzionalità. Per questo, forse, sono i più belli. Perché non lasciano niente al caso, pur arrivando nella maniera più inaspettata. Chi li segna, soprattutto, è in grado di comprimere in un istante tanto l’intenzione, la forma del pensiero e la finezza di esecuzione. Così queste giocate avvicinano il calcio a una manifestazione letteraria della prodezza atletica. Il goal di Hamsik col Bologna, probabilmente, è il goal più particolare e significativo (rispetto al valore estetico) che lo slovacco ha segnato - e di goal meravigliosi Hamsik (anche con la nazionale slovacca) ne ha segnati moltissimi - da quando è all’ombra del Vesuvio.
Avvicinarsi ai numeri di Diego Armando Maradona deve voler anche dire farlo approssimandosi alle sue gesta, alle sue giocate, alla sua letteratura. Benché dissacrante (doverosa dose di realismo), per quel goal, per quell’idea, soprattutto per quella idea, Hamsik merita il paragone. Lo merita il suo grado discreto e dirompente, come il poeta Francisci, lo merita il suo avvento silenzioso, come i Versi del capitano, appunto, di Neruda e lo merita il suo avvicinamento a una delle grandezze di Maradona. Lo merita Marek Hamšík. Al mondo, mille ancora di questi calciatori.