Eccezionalmente, ma al contempo con immenso piacere, ospitiamo in questo spazio alcune considerazioni personali di Andrea del Mancino

 

 

Mi innamorai del calcio come mi sarei innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé. Irremovibile dalla mia scrivania come fosse un testo sacro, Febbre a 90' di Nick Hornby ricorda sempre come è nato in me quel comportamento fanatico e irragionevole chiamato tifo.

Personalmente mi innamorai del Pisa nel 1997, durante una normalissima partita di campionato; fu la mia prima partita e già sapevo per chi avrei tifato.

 

Il calendario della nostra vita è sezionato dalle vicende calcistiche che hanno caratterizzato la nostra squadra, vicende che permetteranno l'accostamento degli eventi più importanti della nostra vita privata. Il tifoso è così, vive in funzione della propria squadra come se fosse una relazione d'amore: è appagato quando la sua squadra vince, ma può facilmente disperarsi se l'amore per la sua squadra non è ricambiato o, addirittura, si dissolve. E chiunque non si sia innamorato di una squadra di vertice capace di vincere in modo quasi costante, è condannato ad un avvenire di frustrazioni e scottanti batoste, alternato da momenti di gloria di breve durata.

Il tifoso non tradirà mai la squadra, seguirà pedissequamente ogni partita con sole, pioggia, neve e grandine, per sostenere e per star vicino non tanto ai giocatori quanto alla maglia. La fede per la maglia, per lo stemma, per i colori che rappresentano una città; l'orgoglio che esplode e che inebria la persona di un sentimento strettamente cittadino. Il mezzo di comunicazione di questo sentimento è lo stadio: far vedere all'avversario di giornata che, sia in casa che in trasferta, i tifosi sono presenti per sventolare i vessilli della città di appartenenza e che sono un numero sufficiente per incitare la squadra, è motivo di onore per i sostenitori. La gioia a seguito di una vittoria importante è festeggiata collettivamente, al contrario la sofferenza per una sconfitta è un peso che sarà smaltito in maniera privata; non esiste metodo di consolazione, è una sfida personale che il tifoso affronta in completa solitudine, riuscendo a debellare la delusione in modo naturale. Quanto era bello lo stadio pieno di colori, di bandiere, striscioni e sfottò, campanilismi che rendevano teso il clima. Decreti e misure forti adottate da chi ha il potere nelle mani hanno contribuito a rovinare l'atmosfera dello stadio, rendendolo sempre più povero di tifosi, invogliati dalle pay per view a stare a casa sul divano. In fin dei conti il tifoso prima di arrivare dentro lo stadio deve passare innumerevoli avventure stile Jumanji, tra traffico e zone transennate, pre-filtraggi e tornelli, metal detector e steward che pensano tu sia un terrorista, e per questo ti sequestrano l'ombrello presumendo che tu lo possa lanciare in campo: la verità è che diluvia e l'unico uso dell'ombrello è far si che possa ripararti dall'acqua. Perché? Perché negli stadi italiani non ci sono le gradinate coperte, salvo pochi casi. L'ipocrisia è tale da vietare megafoni, tamburi e fumogeni, elementi essenziali del tifo. Quanto possono essere pericolosi questi oggetti? Rendiamoci conto che la bellezza del calcio è anche lo spettacolo sugli spalti. Disincentivando i tifosi ad andare allo stadio, morirebbe la passione per il calcio visto dal vivo. Cerchiamo di non farci schiavizzare dai mass-media, prendete la sciarpa della vostra squadra e comprate un biglietto dello stadio. Questa è la vera risposta alle norme che non vogliamo.

 

 

Andrea del Mancino