Nonostante la notizia fosse già nell’aria, seppur con prospettive di concretizzazione più diluite nel tempo, giungere alla conclusione dell’interregno (questo è stato) Thohir alle redini societarie dell’Inter, ci offre l’occasione per stilare un breve bilancio su quello che è stato l’operato del Tycoon indonesiano.
Non prima di aver sottolineato come la “svolta cinese”, tutto e subito, fosse imprevista anche per lo stesso Thohir il quale, non più di 20 giorni addietro, così si esprimeva: “Dei nostri 264 milioni di fan globali, 190 sono nell'area Asia-Pacifico, la maggior parte dei quali in Cina. Per questo è importante avere un partner strategico in quella zona. Stiamo facendo passi avanti, ma non abbiamo ancora firmato nulla”. Si parlava di partner strategico, con riferimento al Suning Commerce Group: evidentemente i cinesi hanno saputo mettere sul tavolo argomenti molto convincenti e poderosi, così tanto che persino un uomo abituato a pesare tutto col bilancino, come Erick Thohir, ha finito col valutare positivamente. I tifosi sperano nell’interesse dell’Inter.
Il partner strategico che l’indonesiano stava cercando sarà proprio lo stesso Erick Thohir, con Massimo Moratti che, dopo 20 anni di Inter, uscirà di scena.

Il presidente nerazzurro, unitamente a tutto lo stato maggiore della dirigenza –quasi tutto, dei Moratti pare non vi sia traccia - si trova già a Nanchino, città che, in gennaio, aveva fatto scappare a gambe levate Luiz Adriano, così consigliato dalla moglie, alla quale il centro urbano made in China non fece una bella impressione, almeno così è stata spacciata la versione ufficiale del gran rifiuto allo Jiangsu. Forse Moratti, memore di questo episodio, s’è risparmiato la trasferta cinese. O magari, come il sottoscritto, si sarà chiesto “dove diavolo è Nanchino?”, avrà dato una veloce controllata con Google Maps, prima di decidere di risparmiarsi la fatica: “Se i cinesi vogliono comprare, che vengano loro a Milano”, o una roba del genere.
Battute a parte, è evidente un certo scollamento fra Moratti e Thohir, deflagrato proprio in seguito alla trattativa lampo che porterà l’Inter a diventare “cinese” in tempi brevissimi, con il definitivo allontanamento della famiglia Moratti dalle vicende (e dalle quote) societarie dell’Inter. Tant’è vero che, nei giorni scorsi, Milly Moratti, così si è espressa, senza abbandonarsi a giri di parole: “Thohir forse poteva capire di più il valore della community Inter. Probabilmente non ha vissuto abbastanza qui, lui era lontano. Ci si augura che, se arriva uno straniero, abbia sul posto dei dirigenti autoctoni. Se no hanno solo il vantaggio di comprare un marchio, ma l'Inter è molto di più”. C’eravamo tanto amati. Forse. Lo stesso patron Moratti, poco tempo fa, con riferimento all’operato di Thohir, aveva detto: “Speravo che Thohir investisse di più”. Come se il magnate indonesiano, al suo arrivo all’Inter, non si fosse trovato di fronte ad una situazione debitoria quantomeno allarmante (eufemismo) cui porre rimedio ed alla quale, forse, si sarebbe potuto far fronte con una più lungimirante gestione del post-Triplete, con un paio di cessioni (e relative ricche plusvalenze) che avrebbero potuto abbattere, anche se non estinguere, i debiti sul groppone, consentendo anche una programmazione sportiva che avrebbe potuto (e dovuto) evitare le sofferenze degli anni seguenti. Lungi dall’apparire irriconoscenti verso un grandissimo presidente quale è stato Massimo Moratti, queste cose vanno dette senza reticenze.

Nell’esaminare la storia di Erick Thohir all’Inter partiamo dalla conclusione: il magnate indonesiano sta vedendo al Suning Commerce Group, una società che produce e distribuisce elettrodomestici ed ha un fatturato di oltre 15 miliardi di euro l’anno. Per dare una dimensione a chi è poco pratico con tutti questi soldi, si tratta di un corrispettivo paragonabile ad una manovra finanziaria del nostro paese, tanto per capirci. Quindi, prescindendosi dalle ulteriori considerazioni che saranno, di seguito, esposte, Thohir è riuscito ad affidare il futuro dell’Inter ad un gruppo solidissimo e che già opera nel mondo del calcio, essendo proprietario dello Jiangsu, snobbato da Luiz Adriano. Avessi detto Zlatan Ibrahimovic.
Giova ricordare che lo stesso Moratti, prima di cedere al gruppo rappresentato da Thohir, Roeslani e Soetedjo, aveva lungamente trattato con interlocutori cinesi, precisamente la China Railway Construction Corporation. Quella trattativa non andò in porto per motivi mai sufficientemente chiariti. Poi arrivò Thohir col suo bel faccione sempre sorridente, a rilevare la quota di maggioranza dell’Inter e a proclamare il proprio amore per Nicola Ventola.

Appena arrivato a Milano, Thohir aveva messo mano al riassetto del gruppo dirigente: dentro Bolingbroke, David Garth, Claire Lewis e Michael Williamson, tutti con estrazione anglosassone ed esperienza nel campo della comunicazione e del marketing. Fuori gli uomini di Moratti (Fassone e Branca su tutti), con la sola eccezione del prode Ausilio, che s’è guadagnato la conferma sul campo, riuscendo a friggere con l’acqua. E questo è un altro pezzo della storia.

Altro capitolo importante è quello sulla ristrutturazione del debito dell’Inter, che è stata gestita in più fasi, fra le più importanti è il caso di ricordare la creazione di una serie di società controllate dalla stessa FC Internazionale Spa e, precisamente, Inter Media e Communication Srl, InterFutura Srl ed MI Stadio Srl, che si sono aggiunte alla Inter Brand Srl, nata nel 2005/06, sotto la gestione Moratti e da questi controllata. La creazione di tutte queste società controllate ha consentito, nella massima liceità e legalità, di riorganizzare i debiti e incanalare i profitti.
Di non minore rilievo è stato il prestito concordato con Goldman Sachs International e Unicredit per una cifra che si aggira sui 230 milioni di ero da restituirsi in questi termini: una rata da 1 milione entro il 30 giugno 2015; 15 rate trimestrali da tre milioni dal 30 settembre 2015 al 31 marzo 2019 per un totale di 45 milioni di euro, in sostanza 12 milioni all’anno; e una mega rata finale da 184 milioni entro il 30 giugno 2019. A garanzia di questo prestito, attraverso un complicato giro che non stiamo qui a ricostruire, vi è la stessa società Internazionale Spa, per tramite delle società controllate di cui sopra.

Last, but not least, il nuovo finanziamento che Thohir ha concesso all'Inter, per un importo di circa 60 milioni da restituirsi (allo stesso E.T.) con il 9% di interessi. Secondo quanto riassunto da autorevoli fonti del giornalismo economico, si tratta di un prestito subordinato agli altri debiti, com’è normale che sia, e che sarà rimborsato allo stesso Thohir soltanto se ci sarà la necessaria liquidità, altrimenti si convertirà in capitale. E qui spunta una perplessità, in quanto solitamente, gli azionisti di riferimento che fanno gli imprenditori (e non i finanzieri) prestano a tasso zero e non “si finanziano” con la propria società.
Tant’è vero che il finanziere Thohir, secondo quelle che sono le notizie circa il passaggio di proprietà in favore del Suning Group, riuscirà a vendere il controllo della società FC Internazionale Spa per una cifra superiore rispetto a quella che egli stesso mise sul tavolo meno di tre anni addietro. Segno che un certo lavoro per rendere più solida la società è stato fatto. Ma anche che Thohir non prese l’Inter perché innamorato di Milano. Né tantomeno di Nicola Ventola.

Non si è ancora parlato di calcio, è vero. L’avvento di Erick Thohir all’Inter è coinciso con tanti addii agli eroi del Triplete, su tutti Zanetti, Milito, Samuel e Cambiasso, senza dimenticare il cambio in panchina fra Mazzarri e Mancini, benedetto anche da Massimo Moratti. Per farla breve, durante la parentesi Thohir è stato fatto, forse anche in maniera brutale e per nulla remunerative per le anemiche casse societarie, quel ricambio che forse, pianificato nel dopo Triplete, avrebbe portato a scenari sicuramente diversi e che ci avrebbe, in parte, risparmiato, tutto il pistolotto su finanziamenti, prestiti, tassi d’interesse e società controllate.
Rimanendo ancorati al discorso tecnico, quella appena conclusa avrebbe dovuto essere la stagione del ritorno in Champions League, per lo meno nelle intenzioni societarie: Ausilio aveva fatto miracoli in sede di campagna acquisti e, a testimonianza del buon lavoro fatto dal DS nerazzurro, la squadra ha risposto benissimo nella prima parte del campionato, salvo poi sgonfiarsi a metà del cammino, compromettendo tutto quello che di buono era stato fatto. Le responsabilità, in questo caso, vanno (più o meno) equamente suddivise fra società, staff tecnico e calciatori. La mancata qualificazione alla prossima Champions League ha comportato un piccolo stop nel processo di crescita del club, di cui sarà il gruppo subentrante a doversi fare carico, magari riuscendo a rinegoziare il debito con Goldman Sachs e Unicredit.
Va
detto che Thohir lascia una squadra con diversi giocatori giovani di livello, tutti già in rampa di lancio, destinati ad essere il futuro sportivo di questo club. O, nella peggiore delle ipotesi, il futuro economico della società. E si tratta di un fattore che conta tantissimo e segna una importante discontinuità rispetto alla situazione che l'indonesiano trovò al suo arrivo all'Inter.

In conclusione, se è doveroso ascrivere ad Erick Thohir tutta una serie di meriti nella riorganizzazione dell’assetto societario, nella capacità di lavorare davvero all’esportazione del “brand” Inter e nella rifondazione tecnica del parco giocatori, appare altrettanto sacrosanto esprimere qualche perplessità circa la sua gestione da finanziere. E non da imprenditore.
Viene da chiedersi, se è vero, come pare, che la situazione finanziaria dell'Inter, a partire dall'avvento di Thohir, sia stata resa più solida rispetto al passato, come mai un buisness-man, quale è Thohir, abbia scelto di "passare la mano" proprio in vista di stagioni che, seguendo la pura linea teorica dei ragionamenti che si sono intrecciati sopra, potrebbero (e dovrebbero) garantire maggiori successi sia sportivi e, cosa che più interessa a chi gestisce il vil danaro, sia economico-finanziari.
Il dubbio è legittimo, al pari di quello che riguarda la precisa collocazione di Nanchino.