Mai disfarsi delle cose gioiose. Tornano sempre, più arrabbiate di prima. E pensare che, dopo la rivoluzione islamica, Mansour Bahrami aveva visto chiudersi le porte del suo tennis, in un Iran poco disposto a tollerare lo show di un tennis orientato verso l’individual-businnes capitalista.
Allora, l’escluso Mansour aveva ripiegato sul Backgammon, passando dai rettangoli di gioco a quelli tigrati e in miniatura di dadi e pedine.
In molti si sarebbero abbandonati alla tristezza, coltivando in intimità il giardino spoglio della depressione. Invece, il Mansour tennista finito nelle strade anguste del bando nazionale, decide di inventarselo un tennis, più privato del capitalismo e della corsa alle borse e ai tornei milionari, attraverso una delle cose più pubbliche e disponibili, sin dalla notte dei tempi. L’ironia, su se stessi e sul prossimo venuto a farsi prendere un po’ in giro.
E Bahrami inizia a giocare il suo tennis da clown della racchetta, addolcendo colpi e misure coi suoi trick deliziosi come il cioccolato superiore. Si esibisce con i grandi, in singolo e in doppio, brandendo la spada del buon umore come un cavaliere solitario.
Ritrovandosi intorno una folla ad applaudirlo, ci prende gusto, e presso la sua corte ambulante invita arbitri e spettatori, cameraman e raccattapalle. Il suo regno è l’altrui ospitato nel suo altrove. Invece di contestare regimi e censure, decide di ignorare le azioni permalose e aggira l’ostacolo ridicolizzandolo.
Si fa cadere le palline in tasca, finta le battute mentre trattiene quattro o cinque palline alla volta nelle dita, e la sua posa variabile non sa di imitazione bensì di circo d’altri tempi. Non ha la valigia, e il suo bagaglio è tutto il tennis, dentro e fuori dalla racchetta, la pallina e le linee di gioco.
Chiama tutti a sé, Borg, McEnore, Becker, Connors, Noah, Leconte. Nessuno si sottrae dalla dolce bacchetta della risata. Mansour gioca da seduto, piegando la rete, salendo dall’arbitro, correndo dietro i giudici di linea, entusiasmando la folla per ore, senza podio e senza punteggio. Nel suo tennis non c’è amministrazione, solo gioiosa anarchia. E il bello è che, senza rendersene conto, vi prendono tutti parte.
L’ha scritto pure Umberto Eco, “Una delle prime e nobili funzioni delle cose poco serie è quella di gettare un’ombra di diffidenza sulle cose troppo serie”. Anche Franz Kafka, che di ironia se ne intendeva, ha detto che “Mentre si ride, si pensa che ci sarà sempre tempo per la serietà”. Ma adesso basta con le citazioni, sennò Mansour Bahrami inizia a palleggiare pure con quelle. E chi avrebbe il coraggio di vietarglielo.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka