Ci risiamo. Il luogo del delitto dove però sono ancora tutti vivi. Nel suo video in cui saluta Napoli, Dries Mertens alla fine dice la cosa più importante: “Napoli, ma quanto ci siamo divertiti”.

Le chiacchiere e le polemiche sui contratti, i torti e le ragioni, le fazioni e i malumori perdono ancora prima di cominciare. Un attimo basta a tutti quelli che gli hanno voluto bene, che hanno avuto il privilegio di apprezzarlo come un calciatore che in pochi, quasi nessuno, avrebbero ipotizzato come il più grande realizzatore nella storia del Napoli. 

“Diego, scusami se ti ho superato nei gol segnati.” 

L’arrivederci di Mertens, girato un po’ alla È stata la mano di Dio – e non guasta affatto – , ritrova in un istante il piacere amaro e dolcissimo della prodezza. L’ultima, quella finale. E Mertens ha saputo conquistare una folla di assetati di prodezze proprio con quell’abilità scugnizza che col pallone ha parlato la lingua scaltra e ruffiana che da secoli educa e diseduca una generazione unica, piegata a testa alta perché troppe volte vicina alla gioia, ma quasi sempre in grado soltanto di scriverne un inno, e poi un altro, e poi un altro ancora, per una cessione della vittoria a scandire un contratto sociale grave e antico. E non si dica che “è solo il pallone”.

Mertens, quasi senza volerlo, si è insinuato in qualcosa che lui stesso ha imparato a capire nonostante le distanze che questo calcio impone dentro e fuori dai contratti. Lo ha fatto da una posizione di privilegio, ma restando a lungo nella tensione dei quasi vittoriosi, di quelli che hanno raccolto meno di quanto avrebbero meritato. Una generazione di grandi calciatori che si sono ritrovati tutti insieme a lottare per qualcosa che non è arrivato, ma che adesso, e non è una consolazione, lascia il tempo che trova. 

Non ci sono frustrazioni nella nostalgia. Quella è una cosa che non viene sconfitta. Anche quella proveniente dalle più segnanti delusioni non perde il titolo alla dignità. E poi, c’è cosa più bella e importante dell’essersi divertiti? Quante partite, quanti momenti, quanto di quel panorama che non ne uscirà mai afflitto nonostante le inflizioni, che non uscirà mai finito nonostante troppi finali deludenti, che non finirà mai di parlare e di ascoltare chi dice “quanto ci siamo divertiti”.
Il danaro, i giochi politici, come tutta la commedia umana, hanno fatti parte e fanno parte del calcio tanto in misura miserabile quanto gloriosa. A chi se ne sente parte senza interesse non può fare impressione. Non fa sentire più intelligenti scovare chissà quali retroscena ipocriti.

A che serve? Un passato senza nostalgia. A chi ci rimette e basta vale soltanto una cosa: “Quanto ci siamo divertiti”. Quando in una notte lontana qualcuno avrà il coraggio e la faccia tosta di avvicinarsi a chi ha voluto bene, varrà la pena di dirgli soltanto una cosa: “Ma quanto ci siamo divertiti”.