Il calcio ha perduto presto la sua verginità. Nessuno è più in condizione di ricordare i primordi del pallone a forma di innocenza. S’è smarrito tutto quanto un giorno aveva avuto il tocco della spontaneità. Va bene, le cose cambiano e amen. Ma senza troppi giri di parole, chiudendo il prontuario delle prudenze da quattro soldi, sbattendo la porta in faccia al bidello che ha in mano la circolare dove ci sta scritto che questo e quello non si può dire, si potrebbe pure ammettere quello che resta, se resta.

 

Il pallone non vuole la moviola perché la moviola è come guardarsi allo specchio. Proviene dalle metafore letterarie il postulato che lo specchio “dice sempre la verità”. E la moviola farebbe questo, direbbe la verità. La FIFA ha ribadito di non estendere la moviola in campo a niente che non sia il caso del cosiddetto gol fantasma. Quindi perdete la speranza, voi che vorreste un risultato dove non entri il “prodigio” arbitrale. Rigori, fuorigioco, falli e tutto quello che fa discutere i talk show, i network e i bar, è destinato a restare lì, nelle discussioni, nei dubbi e nell’acidità di stomaco.

 

Il calcio deve restare com’è, sporcato da quel margine di dubbio che non ha molto a che fare con la nobiltà di pensiero, e col frequente rimpianto che questo o quel risultato, a dispetto dei faticosi work in progress di società e allenatori, soprattutto piccole società, di tanto in tanto viene annunciato a mo’ di salvaguardia della tenerezza pallonara. Ogni volta che si parla di moviola in campo, scatta l’allarme “umanesimo” e allora, chi di dovere, inizia ad arrampicarsi sugli specchi della necessità di salvaguardarlo, questo umanesimo (di quale umanesimo si tratti non l’abbiamo capito), per cui l’uomo non deve essere sostituito e la tecnologia in queste cose deve farsi gli affaracci suoi.

 

Anche Abete ne ha parlato, ovviamente a favore della FIFA, schierandosi a sfavore della moviola, manco a dirlo, rivendicando, come circolare impone, la necessità di lavorare sugli uomini e non sulla tecnologia. Breve battuta, che i sistemi di potere lavorino sugli uomini non c’è dubbio. Si è sempre fatto, e non solo nel calcio.

 

La moviola in campo farebbe perdere tempo - e neanche questa è chiara, perché non sarebbe così difficile organizzare un tavolo di giudici in collegamento auricolare con gli arbitri (si fa già) -. Poi c’è quello che dice che il calcio è bello perché c’è anche l’errore arbitrale. Sì, come no. Forse a sostenere questa pulsione della suspense al sapore di ambiguità sarà un effetto tipico del “lavoriamo sull’uomo”.

 

Gli organismi dirigenti del calcio mondiale non vogliono la moviola perché uscirebbe indebolito uno  “strumento” di risultato? Ci piaccia o meno, è così. L’arbitro molto spesso entra nel risultato, come la giocata determinante di un calciatore. Quante partite vengono decise e influenzate da autentici orrori arbitrali, ma l’importante è che alla fine tutti accettino il verdetto del giudice, perché, “giustamente”, il verdetto di un giudice, che dovrebbe limitarsi a far rispettare il regolamento, deve entrare nelle more e nelle dinamiche del risultato sportivo. Così si rischia una morale da amanti dell’intrallazzo. E spesso è una morale che ritrovi nel pensiero di quelli che tifano le “grandi”, e che della vittoria frequente, comunque sia conquistata, non possono proprio fare a meno.

 

Ma è davvero così bello e accattivante constatare che molti mondiali di calcio, campionati, coppe internazionali, sono stati decisi da errori dell’arbitro? Perché la moviola fa così paura? Davvero dobbiamo limitare tutto alla solita lettura della ragione finanziaria? E se c’è una ragione finanziaria, perché la ragione finanziaria non vuole la moviola?

 

Allora, al netto di ipotesi e sospetti, non si fa peccato a ipotizzare che il calcio desidera di restare così, affidato al “caso” vestito da giudice, che quando va in campo, nella sua “tenera e innocente” buona fede, troppo spesso decide il risultato di una partita, e non solo di una partita. Alla luce di tutto questo, possono andare a farsi friggere anche il “respect”, il “fair play”, il “not racism” e tutta l’inutile e patetica morale ficcata dentro l’unico rallenty che davvero abbonda.

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka