Domenica sera, 1 luglio, prima della diretta televisiva di Spagna - Italia, la RAI ha mandato in onda il solito filmato introduttivo alla partita. Quella intro che ormai è di tutte le testate televisive, che ogni volta, appena se ne presenta l’occasione, libera tutta la convulsa e patetica retorica di stato.
Allora tu vedi che c’è dentro tutto. I partigiani, le stragi, le lotte di piazza, il cinema, i movimenti studenteschi e le celebrazioni industriali del made in Italy.
 

Come tanti specchietti per le allodole, i frammenti dei repertori e i filmati presi dagli archivi radiotelevisivi, vengono armonizzati in un unico montaggio. Un Arlecchino di successi e commozioni, cucito dalla grafica televisiva e dalle voci di fondo di nuovi attori, compila la suggestiva circolare di stato mandata in onda per fare da richiamo all’appartenenza collettiva, a quella condivisione che sa più di predica ritrita per la messa di primo mattino, piuttosto che di uno spontaneo e sentito invito all’evento punto e basta. Perché, in fondo, di questo si tratta, in un paese dove l’unico senso di appartenenza si conserva nei confini della proprietà privata registrata al catasto.
 

È ormai da tempo che all’Italia pallonara è stato affidato l’incarico politico di dire qualcosa che non sia solo il goal o l’emozione per la prodezza, di oltrepassare, con tediosa ossessività, la riga del quotidiano steso affianco al caffè appena consumato al bar con un amico, davanti a una conversazione che ignorerebbe volentieri la logora perizia di chi se ne intende e solo lui deve parlarne.
 

Hanno privatizzato qualsiasi cosa, ma hanno nazionalizzato il calcio. È vero, è di tutti, lo hanno trasformato in un partito che fa gli stessi ragionamenti di quelli politici. E li invita, i politici, uno per uno, ministri e federali, italiani e stranieri, a tenere banco anche quando farebbero bene a starsene nelle loro stanzette a preparare nuove circolari per l’ordine di massa. E il popolo partecipa, altrochè se ne resta fuori. Il calcio invita la politica e la politica invita il calcio.
 

L’Italia del pallone ha ormai consolidato questa carica diplomatica discesa dall’alto, con cui mediare quel contratto sociale - Rousseau prenderebbe le sue distanze - che oggi vuol dire una rassegna popolare di inadempienze. A questa prassi manca solo il concorso al ministero. Chissà che un giorno non esca un bando che ne indica uno per strilloni della morale calcistica.

 

Domenica notte, dove vivo io, dopo la partita, un nutrito gruppo di tifosi è sceso in strada, davanti a un trattore che trainava un grande carro con sopra decine di persone. Intorno c’erano tanti ragazzi che ballavano e cantavano, forniti di spumante e muniti di bandiere. E non erano spagnoli. Forse sarà stata una delegazione di quello staff diplomatico della new beat generation. Magari, ne avevano di cose da dire. E funzionava, perché a un incrocio hanno fatto inversione, sono andati via nel verso opposto, mentre altre auto e altre persone si accodavano per nutrire il corteo della sconfitta.

 

Elio Goka