Statura bassa, 4 gran premi vinti, 6 pole position, un giro record. Tazio Giorgio Nuvolari, tra i più grandi di sempre. Qualcuno si chiederebbe come sia possibile che uno score così basso risponda al mito di uno tra i piloti più amati di sempre. Se si è stati Nuvolari, si ha il diritto di oltrepassare pure il valore dei numeri.
L’uomo che da bambino ha superato una strana paura dei cavalli grazie a una monetina recuperata tra gli zoccoli di uno di questi animali, volontariamente lanciata dal padre. “Da quel giorno smisi di avere paura anche della paura”.
“C'è sempre un numero in più nel destino quando corre Nuvolari…”
Così Lucio Dalla canta nella sua Nuvolari, una delle canzoni dell’album Automobili, prodotto nel 1976 dalla RCA. Forse se non ci fosse stata la guerra a scandire una pausa di sei anni, Tazio Nuvolari quei numeri li avrebbe resi più prossimi alla sua classe.
Nuvolari, battezzato alla velocità dalle motociclette, nell’automobile ha inventato quella che in gergo è passata sotto il nome di "sbandata controllata", la manovra, oggi in uso nel rally, che consentiva alla macchina di affrontare le curve in maniera più aggressiva, controllando la direzione verso l’esterno delle ruote posteriori e facendola uscire già dritta e in accelerazione sul rettilineo. Una manovra successivamente neutralizzata dall’aerodinamica, ma che, quando Enzo Ferrari salì in auto con Nuvolari, sorprese non poco il “Drake”, dapprima spaventato e poi rimastone colpito ed entusiasmato.
Quelli come Nuvolari erano piloti dell’aria prestati al suolo, oggi in un Olimpo che l’ipertecnologia automobilistica non solo non concepirebbe, ma addirittura disapproverebbe, impedendo a quella vena anarchica della guida di esprimersi per tirare il meglio non dalla macchina, ma dall’uomo.
"Nuvolari è bruno di colore, Nuvolari ha la maschera tagliente
Nuvolari ha la bocca sempre chiusa, di morire non gli importa niente…"
Tazio Nuvolari ha eseguito quello che per altri sembrava impossibile, ha tirato in ballo la morte come pochissimi piloti hanno avuto il coraggio di fare, ha corso con mezzi danneggiati, ha preso fuoco e ha misurato il rischio in imprese meditate già prime di tentarle. La parte poetica della spericolatezza. Questo è Tazio Nuvolari cantato da Lucio Dalla.
Lo stesso omaggio che molti anni dopo il celebre cantautore bolognese ha riservato alla grandezza di un pilota che nella sua carriera ha unito la mito del coraggio, la classe della guida e il senso del pericolo fino all’estremo, alla grandezza dei risultati. L’ultimo pilota, secondo alcuni. L’ultimo a leggere il volante come un’opportunità di espressione oltre il mezzo meccanico. Ayrton Senna, l’ultimo Ayrton, l’ultimo giorno nel gran premio più famoso della storia dell’automobilismo.
“E ho deciso una notte di maggio
in una terra di sognatori
ho deciso che toccava forse a me
e ho capito che Dio mi aveva dato
il potere di far tornare indietro il mondo
rimbalzando nella curva insieme a me”
Dopo il gran premio di Imola del 1994, in quel 1 maggio indimenticabile, giornata luttuosa e accecante della quale si era già manifestato un prologo tremendo con la morte di Roland Ratzenberger in prova, ogni anno, quando arriva il mese di maggio, gli appassionati di automobilismo non possono fare a meno di pensare anche soltanto per un momento a quel 1 maggio del 1994.
E la canzone di Lucio Dalla, prima del suo crescendo struggente e meraviglioso, cifra con pochi versi il cambio di rotta di una formula uno che dopo quel giorno non sarebbe stata più la stessa, rivedendo i livelli di sicurezza per i piloti, le macchine e tutto il resto, avviandosi definitivamente a una rielaborazione non più rivolta solo alla velocità, ma alla perfezione aerodinamica e tecnologica, lavorando sulla sicurezza degli abitacoli, sui freni, le sospensioni, le gomme e ogni altro componente decisivo per la stabilità della vettura.
“E come uomo io ci ho messo degli anni
a capire che la colpa era anche mia
a capire che ero stato un poco anch'io
e ho capito che era tutto finto
ho capito che un vincitore vale quanto un vinto
ho capito che la gente amava me
potevo fare qualcosa
dovevo cambiare qualche cosa.”
Ogni volta, nonostante la formula uno abbia pianto tanti piloti e tanti operatori di servizio intorno ai gran premi vittime di incidenti mortali, pensare che questo sport così discusso e contraddittorio abbia in qualche modo aspettato che succedesse qualcosa di indimenticabile, di tragicamente leggendario, per correre ai ripari, fa riflettere che anche le corse hanno spinto se stesse fino al limite estremo, imparando la peggiore delle lezioni “sacrificando” il loro campione più amato. La storia di uno sport che in quei frangenti, negli istanti di maggiore rischio, di indescrivibile emotività, di cosciente incoscienza, annulla pure il privilegio del lusso, del guadagno, dei contratti milionari, fa dimenticare tutto quanto non sia parte di quei momenti esclusivi, fuori da ogni ordinamento, puri, di feroce e gloriosa alienazione. Ogni anno, a maggio, il mondo delle corse abbassa la testa e pensa che un colpo di freno una volta gli ha ricordato che gli uomini non possono essere come gli dèi. La malinconica condanna al mito in carne e ossa.
“Tu mi hai detto ‘chiudi gli occhi e riposa’
e io adesso chiudo gli occhi...”