Non chiamatelo semplicemente "allenatore". Il Simone Inzaghi versione derby di Coppa Italia si è rivelato un autentico stratega, un mago della tattica che ha saputo imbrigliare il secondo attacco più prolifico d'Italia. Che, nelle precedenti 38 partite stagionali, solo in 5 occasioni non era riuscito a bucare la porta avversaria.
Un po' Antonio Conte, un po' Hector Cuper. Idee, intensità, meccanismi, automatismi: il modus operandi della Lazio rispecchiava in toto la volontà del suo demiurgo, proprio come accadeva con la Juventus di stampo contiano. E quella mano battuta sul petto di ogni giocatore, al rientro in campo nel secondo tempo, ha ricordato proprio il nostalgico rito dell'ex tecnico interista. Ripetuto anche in quel maledetto 5 maggio 2002. Gara in cui Inzaghi, tra l'altro, segnò il gol del 4-2. Corsi e ricorsi storici.
Ci sono ancora 90 interminabili minuti da giocare, prima di un atto finale che, se centrato, sarà presumibilmente ancor più duro del doppio confronto capitolino. Intanto, però, il primo round è stato portato a casa. Con un capolavoro tecnico-tattico riassumibile in sette punti:
1) LA SCELTA DEL 3-5-2 - In molti si aspettavano il classico 4-3-3, con Keita dal primo minuto. Inzaghi fa di necessità virtù, viste le squalifiche di Radu, Patric e Lulic. Ma una volta ufficializzato l'undici titolare, la sensazione era che la Lazio volesse giocare più per non prenderle (difesa a 5 in fase di ripiego) che per vincere la partita, ragionando nell'ottica dei 180' e del gol in trasferta che vale doppio. I fatti, invece, hanno dimostrato il contrario;
2) SUPER SERGEJ - Non ci sono più parole per descrivere quanto sia diventato importante questo ragazzo. Forse se ne parla poco, ma è bene sottolineare che in campionato Milinkovic-Savic ha ormai soppiantato un senatore come Lulic nelle gerarchie della mediana biancoceleste. Ieri sera, complice l'assenza del bosniaco, si è capito perfettamente il perché. Sotto il profilo della scelta della giocata, della lucidità nei momenti topici, del tempismo negli inserimenti e dello strapotere fisico nel gioco aereo, con ogni probabilità è stata la miglior partita del serbo da quando è a Roma. 77 palle giocate, due tiri nello specchio. Di cui quello dell'1-0, quando ha bruciato Strootman e anticipato in scivolata Manolas. Non proprio due qualunque;
3) IL TRENO LUKAKU - Utilizzato con il contagocce quest'anno, ma non potrebbe essere altrimenti visto che davanti ha Radu e (a volte) Lulic. La prestazione offerta nel derby, però, ne risolleva le quotazioni per il finale di stagione. Il belga spinge tantissimo, sfruttando una progressione impressionante, e costringe Bruno Peres a occuparsi della fase difensiva ben più spesso del previsto. Lo scontro tra treni su quella fascia lo vince nettamente il "fratello d'arte". 40 palle giocate, di cui 16 nella metà campo avversaria: il 60% degli attacchi laziali avviene proprio su quella corsia. Posizionarlo esterno di centrocampo e non terzino ne esalta la naturale propensione offensiva, consentendogli di non doversi occupare prettamente delle discese del brasiliano. L'intuizione geniale di Inzaghi è di fatto anche la chiave del match;
4) KEITA, AL MOMENTO GIUSTO - Inzaghi si riserva una cartuccia a cinque stelle da sparare a gara in corso. E qui c'è la sua seconda grande intuizione: partire col 3-5-2, finire col 3-5-2. Lo lancia in campo a mezz'ora scarsa dalla fine, approfitta della stanchezza dei giallorossi (impegnati più a cercare il pari che a difendere lo 0-1) ma non toglie un centrocampista, bensì Felipe Anderson (per lui decimo assist stagionale). Cambia quindi il partner di Immobile, ma non il dettame tattico. Non è un caso che proprio da uno spunto del senegalese nasca la rete del raddoppio;
5) IL TRIPLO MURO - De Vrij, Bastos, Wallace: insuperabili. La Roma attacca nove volte su dieci utilizzando il lancio lungo alla ricerca della testa di Dzeko. Mai scelta fu più errata, vista la serata di grazia di un terzetto che sembra giocare insieme da anni. Dalle loro parti non passa nemmeno l'aria, Spalletti avrebbe dovuto rendersene conto in tempo e affidarsi più agli uno contro uno sugli esterni. Cosa che, invece, non avviene. Una sola volta i giallorossi sfondano centralmente e lo fanno (guarda caso) palla a terra: Nainggolan serve Salah che di sinistro coglie il palo esterno. Per il resto, la terza linea laziale è praticamente invalicabile. E per Wallace è anche un po' una piccola rivincita personale, dopo l'episodio disastroso nel derby di campionato;
6) LA GABBIA SU RADJA - Forse alcuni non lo ricordano, visto che ha fatto più scalpore l'attestato di odio nei confronti della Juventus, ma all'interno dichiarazioni "rubate" a Nainggolan qualche settimana fa c'è anche un passaggio in cui dice a un tifoso: "Te lo dico io, vinciamo sia all'andata che al ritorno". Non solo il belga esce sconfitto, ma non entra nemmeno nel vivo della gara. Zero conclusioni tentate verso Strakosha, sulla trequarti non riesce a servire Dzeko come vorrebbe. Quando Spalletti inserisce Perotti per Paredes a mezz'ora dalla fine, lo arretra a centrocampo, suo ruolo originario. Tra il prima e il dopo c'è però una costante "invisibile": la gabbia che Inzaghi gli costruisce attorno. Ogni volta che la palla è tra i piedi di Radja (o sta per giungervi), il primo a mordere le caviglie e a cestinargli spazio vitale è Biglia, seguito a ruota dai vari Milinkovic, Parolo e dal terzino / centrale di turno. Risultato: annullato al 100%;
7) CIROSLAV - Sedicesimo gol stagionale, il secondo in coppa. Manolas, Fazio e Rudiger gli concedono troppo spazio, Immobile se lo prende volentieri e li mette ripetutamente in difficoltà. Il taglio alle spalle del centrale che fa in occasione del sigillo al 78' ricorda proprio le tipiche movenze di Klose. Ciro, semplicemente grazie.