La constatazione è indiscutibile e, al tempo stesso, allarmante.

Anche alla luce delle convocazioni stilate da Conte per l’imminente Europeo di Francia, fatte le dovute considerazioni per i vari infortuni e defezioni, bisogna prendere atto che l’attuale rosa della nazionale italiana, almeno sulla carta, non è assolutamente ai livelli delle altre.

La Spagna, la Germania, la Francia e, ormai, anche il Belgio hanno giocatori di livello internazionale per ogni ruolo. Troppi gli stranieri, pochi gli italiani titolari nelle nostre squadre di Serie A.

Le nazionali dovrebbero raccogliere il meglio che c’è sulla piazza. Il problema è che, attualmente, il materiale disponibile non ha paragoni né con il nostro passato né, purtroppo, con il presente delle altre rappresentative.

Questa, oltre ai soldi di Abramovich, sarà stata la triste riflessione che avrà convinto Antonio Conte ad abbandonare, dopo solo due anni, il suo incarico di commissario tecnico. Il Chelsea lo attende.

Vien da pensare che la scarsa pazienza del Ct si sia presto scontrata con la consapevolezza che, nella lista dei convocabili, pochi, troppo pochi, sono i giocatori degni di vestire la maglia azzurra e dare soddisfazione alla sua sete di vittoria.


Il problema c’è. La soluzione anche. Ma per inoculare il seme della programmazione spagnola o tedesca ci vorrà tempo e, dunque, pazienza.

La Federazione ha cominciato la scorsa stagione la sua battaglia contro le corazzate italiane.

Nonostante i fatti da ormai troppo tempo la smentiscano, è, infatti, viva ancora nei top clubs italiani la convinzione che riempire le rose di stranieri sia il modo più rapido ed efficace per vincere.

I risultati, tuttavia, parlano da soli.

Ad esclusione della mosca bianco (nera) juventina che, da tempo, si è distaccata dalle logiche italiane, le altre pare non abbiano compreso che puntare sulla crescita del patrimonio locale sia la strada più efficace per ottenere successi.


Lo specchio di questo equivoco è la nazionale italiana, un tempo motivo di orgoglio, oggi spettro di un calcio malato e che di italiano ha ben poco se non qualche rincalzo o buona riserva.

Lo scorso novembre 2014 il Consiglio federale della Figc ha emesso un regolamento che diventerà effettivo dalla prossima stagione 2016/2017. Il regolamento, in realtà, è in vigore dalla stagione scorsa ma le disposizioni transitorie hanno concesso una deroga alle società che non erano nelle condizioni di adeguarsi immediatamente.

Il regolamento rappresenta un flebile tentativo della Federazione di reagire allo stato comatoso del calcio italiano all’estero cominciando a fornire un indirizzo programmatico alle società.

Il Consiglio federale oltre ad imporre alle società di Serie A un tetto numerico della rosa (non più di 25 giocatori utilizzabili) ha, altresì, stabilito che, tra i 25, almeno 4 devono essere “calciatori formati nel club” e almeno 4 “calciatori formati in Italia”.


Tuttavia la disposizione del Consiglio federale rappresenta un moderato strumento di intervento e presta il fianco a numerose critiche.

Per “calciatori formati nel club” si intendono, infatti, i calciatori che, tra i 15 anni e i 21 anni di età, indipendentemente dalla loro nazionalità, siano stati tesserati a titolo definitivo per il club nel quale militano per un periodo, anche non continuativo, di tre stagioni.

Per “calciatori formati in Italia” si intendono, invece, i calciatori che, tra i 15 anni e i 21 anni di età, indipendentemente dalla loro nazionalità, siano stati tesserati a titolo definitivo per uno o più club italiani per un periodo, anche non continuativo, di tre intere stagioni sportive.

A questi potranno aggiungersi, senza limite numerico, i calciatori, tesserati sia a titolo definitivo sia temporaneo, che non abbiano compiuto il 21° anno di età.


Si poteva auspicare un intervento più deciso da parte della Federazione per stimolare il calcio e, dunque, i calciatori italiani ma evidentemente avrebbe significato mettere troppo in difficoltà le società che, in molti casi, non hanno neanche un giocatore formato in Italia.

Tuttavia per fornire materiale di qualità alla nazionale servirà, prima o poi, la mano pesante.

Fatta eccezione di quei pochi talenti che riescono, nonostante gli ostruzionismi, ad uscire dal calderone, i giovani calciatori italiani hanno bisogno di tempo e fiducia per sbloccare tutto il loro potenziale.

L’ansia di risultati ed il richiamo attrattivo del nome straniero ha contribuito a far appassire troppi ragazzi che, forse, avrebbero potuto fare la fortuna, oltre che dei loro clubs, anche della nostra nazionale.

Stabilire che “giocatori formati in Italia” possano essere ragazzi di qualsiasi nazionalità non aiuta. La disposizione potrebbe aprire la strada a futuri oriundi ma non a ragazzi specificamente italiani. Serve altro.

Per competere con le corazzate mondiali oltre alla carica agonistica che, sicuramente, potrà iniettare l’eccelso Conte e i suoi successori serve qualità e non poca.


Siamo quattro volte campioni del mondo. Gli italiani hanno il calcio nel sangue ma la Federazione e le sue società pare se lo siano dimenticato.

La speranza è che quei 23 ragazzini, che tra i vicoli o nelle scuole calcio già corrono e crescono, non perdano la pazienza di aspettare perché noi abbiamo già fiducia in loro.

I nomi ancora non li conosciamo ma abbiamo il cuore pronto ad esplodere un giorno gridando il loro nome.


Avv. Cristian Zambrini (www.studiolegalezambrini.it)