Tre. Come i gol con cui la Lazio ha portato a casa il derby. Ma anche come il numero di episodi clamorosamente a sfavore che, per fortuna dei biancocelesti, a conti fatti non hanno inciso sul risultato finale. Zero discussioni: due rigori solari non concessi per i falli di Fazio su Lukaku e Keita (e sul primo ci sarebbe stato persino il cartellino rosso per chiara occasione da gol), penalty invece assegnato per un inesistente intervento di Wallace su Strootman (che già all'andata si era reso protagonista per motivi extracalcistici). Il minimo comune denominatore? Orsato e i suoi assistenti che hanno preso sempre la decisione sbagliata. E l'1-3 finale non può e non deve cancellare quanto di brutto si è visto ieri sul rettangolo verde dell'Olimpico. Il centrocampista olandese merita una squalifica per la condotta antisportiva con cui ha indotto in errore l'arbitro. Ma soprattutto, ancora una volta, si è palesata l'assoluta necessità e urgenza di introdurre questa benedetta Var, a regime (meno male) già dalla prossima Serie A. Secondo le direttive dell'International Football Association Board e della Fifa, ovvero i promotori del progetto, questa tecnologia sarà utilizzata in quattro circostanze: calci di rigore, espulsioni, gol/no gol, scambio di persona. Va da sé che, se fosse stata attiva già nel derby di ieri, nel post-partita non ci sarebbe stata alcuna polemica sul direttore di gara.

Al netto dell'antipatico calderone moviolistico, resta da sottolineare con veemenza una partita giocata a ritmi molto elevati che ha offerto parecchi spunti di riflessione. A partire dallo strepitoso stato di forma di Keita Balde Diao, reduce dalla tripletta al Palermo e in ballottaggio fino all'ultimo con Felipe Anderson. A mettere tutti d'accordo ci ha pensato il problema intestinale di Ciro Immobile. Senza il quale, chissà, forse il senegalese sarebbe partito dalla panchina. Quando c'è lui nel tabellino marcatori, la Lazio non sbaglia un colpo: 8 vittorie, 1 pareggio. Le sliding doors del calcio. Come quelle di Dusan Basta, allo stesso modo in dubbio alla vigilia. Non segnava in campionato da 79 partite. L'ultima volta? Il 17 marzo 2014. Toh, proprio contro la Roma. Eventi alla mano, il suo gol al 50' (piuttosto fortunoso) ha deciso l'incontro, riportandolo sui binari del successo e placando almeno parzialmente un clima avvelenato, inaugurato dai cori post-Strootman della Curva Nord ("ladri, ladri!"). La notizia del rigore inventato evidentemente era circolata in tutto lo stadio durante l'intervallo.

E poi c'è lui, il demiurgo Simone Inzaghi. Che ha insistito con il 3-4-2-1 con cui ha già eliminato i giallorossi dalla Coppa Italia. Spalletti aveva sulle spalle 180 minuti di esperienza per prendere le dovute contromosse. Non sono bastati: la rapidità di Salah ed El Shaarawy è servita a poco, Dzeko è stato (ancora una volta) totalmente annullato da De Vrij & CO., Nainggolan ha stra-perso lo scontro diretto con Biglia. Vittoria netta sul campo, addirittura schiacciante fuori nei giorni precedenti al match. Proclami? Esaltazioni? Provocazioni? Nulla di tutto ciò è uscito dalla bocca del tecnico laziale, né da quelle dei giocatori. Una dote che invece sembra essere rara come l'acqua nel deserto dall'altra parte del Tevere. A partire da Totti, ai cui scarpini dorati sarà per sempre legato un ricordo malinconico. Nonostante un pronostico irremovibile ("Vinciamo 2-0, vogliamo distruggere la Lazio"). Passando per Nainggolan, che la lezione del doppio derby di coppa ("Ti fidi di me? Vinciamo sia all'andata che al ritorno") ha dimostrato di non averla affatto imparata, rincarando la dose con altre dichiarazioni che trasudavano spavalderia ("Su sei derby ne ho perso solo uno..."). La stracittadina, purtroppo (o per fortuna), è anche questa.