L'Inter riparte da Pioli, Pioli riparte dall'Inter. Due strade parallele che si sono congiunte così, quasi casualmente, in una fredda serata di inizio novembre. Per l'annuncio bisognerà aspettare ancora qualche ora, il tempo necessario per risolvere le pratiche burocratiche (il tecnico è ancora sotto contratto con la Lazio) e legarsi al club nerazzurro fino al 30 giugno del 2018. Accordo per un anno e mezzo, segno che più che un traghettatore, in attesa di un "botto" nella prossima estate, potrebbe davvero diventare il simbolo della rinascita interista con al comando Suning.
Pioli avrà tra le mani una squadra i cui numeri fin qui non hanno per nulla entusiasmato. Ammesse tutte le attenuanti del caso per De Boer, i fatti raccontano che i 17 punti in classifica dopo 12 giornate di campionato non si allineano affatto con le ambizioni della nuova società. Il ritorno in Champions, competizione che manca da ben cinque stagioni, è l'obiettivo da centrare a stretto giro di posta. E forse proprio lo strepitoso campionato 2014/2015 di Pioli con la Lazio, culminato con l'arrivo al terzo posto, è stato il fattore decisivo perché la scelta finale ricadesse su di lui.
MODULO DI GIOCO - De Boer si è affidato principalmente al 4-3-3, camuffandolo in qualche circostanza con un 4-2-3-1 in cui Banega veniva posizionato sulla stessa linea di Perisic e Candreva/Eder. Terreno fertile per Pioli, visto che a Roma alternava proprio questi due schieramenti. Eppure forse non tutti sanno che, per gran parte della propria carriera, il parmense ha fatto giocare le proprie squadre con il 4-4-2. La costante, evidente, è la difesa a quattro, considerata dal diretto interessato l'unica soluzione possibile per fronteggiare qualsiasi squadra e non dover ogni volta cambiare muta in base alle caratteristiche degli avversari. Un pensiero che lo accompagna da sempre, fin dalla Tesi formulata per ottenere il diploma di allenatore a Coverciano.
Ciò su cui Pioli ha sempre insistito è la stretta "collaborazione" tra terzini, mezzali ed esterni d'attacco, con la palla che deve sempre girare veloce e la possibilità che gli interpreti si scambino di posizione per lasciare invariata la propria pericolosità offensiva (in pratica lo stesso dettame del Napoli di Maurizio Sarri). Ecco perché il punto centrale del suo modo di fare calcio sta tutto nell'espressione "catene laterali", fulcro del suo gioco e fonte della gran parte delle occasioni prodotte nell'arco dei 90 minuti. Un modus operandi che lo ha portato a giocarsi il preliminare di Champions League contro il Bayer Leverkusen e le finali di Coppa Italia e Supercoppa contro la Juventus. Obiettivi tutti falliti, tuttavia la sua immagine non ne è uscita nemmeno parzialmente offuscata.
L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI CANDREVA - L'esterno romano è un po' l'emblema di una squadra, quella biancoceleste, che girava a mille e segnava gol a raffica (ben 71 al primo anno di Pioli, uno in meno della Juventus campione d'Italia). Candreva veniva da due stagioni e mezza importanti, con l'ex Bologna ha trovato anche la maturità tattica e quella consapevolezza dei propri mezzi che forse mai aveva avuto prima. Sempre nel vivo dell'azione, prolifico in zona gol, letale sotto il profilo degli assist e dei pericoli creati. La classifica marcatori a maggio del 2015 parlava chiaro: 13 Klose, 10 Anderson, Candreva e Parolo. Unica squadra in Italia ad avere quattro giocatori in doppia cifra, senza dimenticare i 9 centri di Mauri e Djordjevic.
A proposito di Parolo: insieme con Anderson e Candreva è stato probabilmente il tassello che ha messo in mostra il più elevato upgrade dal punto di vista del rendimento e della qualità di gioco. Gol a parte (ne aveva comunque fatti 8 a Parma l'anno prima), quando si caricava la squadra sulle spalle la sua lucidità e il suo dinamismo erano i fattori che facevano la differenza. Sul brasiliano c'è ben poco da dire: non sappiamo che cosa gli abbia detto Pioli per stimolarlo, fatto sta che da quel Lazio-Varese 3-0 di Coppa Italia del 2 dicembre 2014 non si è fermato più, diventando in brevissimo tempo uno dei più fulgidi talenti del nostro campionato.
IL FUTURO - Sulla falsariga dell'esperienza capitolina, Pioli avrà davanti a sé diversi compiti "scottanti" da portare a termine, in alcuni casi vere e proprie missioni. Una su tutte: il recupero (soprattutto mentale) di Geoffrey Kondogbia, completamente emarginato da De Boer dopo un inizio simil-disastroso per il quale anche il pubblico di San Siro ha ormai perso la pazienza, fischiandolo impietosamente a ogni errore e nel momento di ogni (scontata) sostituzione. Sarà interessante anche capire come gestirà, in virtù del discorso di cui sopra, l'alternanza tra Candreva ed Eder, dal momento che Antonio a Roma, un po' per l'importanza capitale che aveva e un po' per la mancanza di alternative all'altezza, non si è mai dovuto preoccupare del rischio di scivolare in panchina. Potrà scoprire Gabigol, finora oggetto misterioso della recente campagna acquisti: capiremo presto se aveva ragione De Boer nel definirlo "ancora non pronto per il calcio italiano".
Il "nuovo Parolo" potrebbe diventare Banega, i fantallenatori sperano soprattutto dal punto di vista realizzativo. L'unica certezza, al momento, è il battesimo di fuoco all'orizzonte: il derby col Milan del 20 novembre. Pioli avrà due settimane piene per ambientarsi, conoscere i giocatori e preparare la partitissima contro un avversario che scenderà in campo proprio con il 4-3-3, il modulo che gli ha regalato le maggiori soddisfazioni. Sempre che prima non decida di rileggersi con cura la Tesi presentata a Coverciano.
L'INTER CON IL 4-3-3 - Handanovic; Ansaldi, Miranda, Murillo, Santon; Joao Mario, Banega, Brozovic; Perisic, Icardi, Candreva.
L'INTER CON IL 4-4-2 - Handanovic; Ansaldi, Miranda, Murillo, Santon; Candreva, Joao Mario, Brozovic, Perisic; Eder, Icardi.