9 settembre 2006. A Rimini la Juventus gioca la partita più celebre della sua (brevissima) storia negativa. Gli effetti di calciopoli hanno difatti scaraventato la Signora in cadetteria, a difendersi (e riuscendoci solo in parte) dai colpi di Ricchiuti, e schierando, tra gli altri, Paro (autore peraltro del gol del vantaggio), Giannichedda, Kovac, Marchionni e Boumsong. Al Romeo Neri, dove i pali della squadra di casa sono governati da un certo Samir Handanovic, finirà 1-1: l'incipit, improbabile, d'una inarrestabile corsa che terminerà con l'inevitabile ritorno in A.

10 settembre 2016. Esattamente 10 anni dopo, in campo allo Stadium scende una formazione che definire stellare appare riduttivo. Pur senza Marchisio, Barzagli e Dani Alves, la squadra che annichilisce in un batter di ciglia il seppur volitivo e organizzato Sassuolo è semplicemente una corazzata senza padrone, ma all'interno della quale ogni singolo elemento pare poter dirigere sé stesso e gli altri con cartesiana diligenza ed improvvida audacia. La voce grossa la fa Higuain, ma in mezzo al campo vedere Mario Lemina, a soli 23 anni, coprire con antica saggezza le scorribande di Pjanic e Khedira rende bene l'idea. Il terzo tassello consecutivo d'una cavalcata che, pur mancando ancora 8 mesi al termine, appare altrettanto inarrestabile. Un percorso simile, a distanza d'un decennio. E con interpreti - al netto degli onnipresenti Buffon e Chiellini - completamente diversi.

10 settembre 2006. A San Siro il grande Milan di Ancelotti, che parte penalizzato (-8) in campionato ed è orfano di Stam e Shevchenko, riceve la Lazio di Delio Rossi. Davanti saranno la solita, radicata, tassa Inzaghi ed il primo gol di Ricardo Oliveira, arrivato in Italia per non far rimpiangere - e non ci riuscirà - lo Zar d'Ucraina, basteranno per piegare la resistenza di Rocchi & compagni. In mezzo sono sempre Pirlo e Seedorf a illuminare: per una volta non c'è Gattuso, squalificato, rimpiazzato da Brocchi. Ma lo spirito di Ringhio è lì, al fianco dei compagni che per molti anni hanno reso il centrocampo del Milan tra i più solidi del Mondo.

11 settembre 2016. Di quella squadra gli unici ancora in attività sono Kakà, Gilardino e colui che Pellegatti soprannominò 'Mas que nada'. Che, per inciso, a 36 anni è ancora protagonista nel Santos. A San Siro il Milan più affranto dell'epoca contemporanea è in attesa del mercato di gennaio, dei primi 85, 100, o 150 milioni dei cinesi, di Fassone e di Mirabelli. Ed anche dello spettacolo promesso dalla gestione Montella, cui Galliani, nel giro di tre mesi, è riuscito a regalare, nell'ordine, Gustavo Gomez, Lapadula, José Sosa, Pasalic e Mati Fernandez. Tutti giocatori - a parte uno, il cileno, che peraltro si ritrova infortunato e nell'occhio del ciclone - praticamente zero funzionali al gioco dell'aeroplanino. Tutti acquisti figli, singolarmente, di trattative discutibilissime per modalità e costi d'acquisto, e soprattutto al momento fuori dall'undici base. Arriva l'Udinese di Iachini, che giochicchia poco meglio - anzi, meno peggio - dei padroni di casa, e sbanca. A centrocampo, per il Milan, ci sono Poli, Montolivo e Sosa. Dopo dieci anni Gattuso, Pirlo e Seedorf si dimenticano così.

10 settembre 2006. All'Olimpico la nuova Roma di Spalletti, tutta cambi di gioco e frenetico divenire offensivo, in cui non c'è più un centravanti ma un finto nove - Totti - , esordisce coi tre punti battendo il Livorno. Amantino Mancini e De Rossi sul tabellino, con tanto di rigore fallito dal capitano, seppur reduce, al pari del buon Daniele, da un Mondiale vissuto da protagonista. Prima di battere il calcio d'inizio, Francesco tiene in braccio il figlio Cristian, di dieci mesi. 

11 settembre 2016. La Sampdoria capolista spaventa uno stadio intero: davanti 2-1 sino al 60', servono un vero centravanti e proprio Totti, che prima illumina per il bosniaco e poi, stavolta sì, realizza il rigore, per ribaltare l'esito della partita. In panchina c'è ancora Spalletti, in regia ancora De Rossi. E davanti, a disegnare calcio a poco più di due settimane dai suoi primi quarant'anni, c'è ancora lo stesso numero 10, con la stessa classe, con qualche muscolo in meno e qualche acciacco in più. Come nella migliore delle favole, che al momento, e parallelamente, racconta anche le magie del piccolo Cristian, recentemente protagonista del torneo di calcio a cinque del San Felice Circeo dove ha letteralmente trascinato la sua squadra alla vittoria finale. Corsi e ricorsi. 

Potrebbe anche chiudersi qui quello che non è un recap della terza giornata, ma neanche un memorandum di quanto accadeva, sempre da queste parti, giusto 10 anni fa. E' più che altro un flashback attualizzato del pallone nostrano, che nel giro d'una generazione calcistica è sì mutato, ma solo parzialmente.

L'atavica fame, non solo sportiva ma anche di mercato, che quella Juventus di B mostrava lo si può rivedere ancora adesso, negli occhi dello staff tecnico e nella lungimiranza d'una dirigenza mai così ricca, ma soprattutto capace di investire con freddezza e vendere con efficacia, se si considera che al netto degli altri nuovi arrivi, per il momento Higuain segna in media ogni 39' e Pogba arranca in Premier League.

L'inizio della fine per il Milan, che a fine campionato si prenderà la doverosa rivincita, contro il Liverpool, e che poi da lì in poi riuscirà a vincere una volta sola, nel 2010-2011, per mano di uno dei migliori Ibrahimovic di sempre. Anche a causa di numerose campagne acquisti scellerate, orchestrate da un dirigente tra i migliori di ogni tempo, ma solo quando il fatturato lo ha messo a disposizione, e assolutamente inoperoso e confuso in tempi di vacche magre.

La storia che si ripete, ed appare sempre assai uguale a sé stessa, nel bene e nel male, per la Roma, che durante la Champions di quell'anno accusò i famigerati 7 gol dal Manchester United, e che anche quest'anno è uscita come peggio non poteva dalla competizione più prestigiosa. E si continua ad aggrappare alle magie dell'unico simbolo sempiterno d'una città e d'una squadra, che ha appena raggiunto Maldini in quanto a campionati giocati (25, nessuno come loro due) e che, così come allora riuscì a realizzare 26 gol in campionato, nelle sue ultime 8 apparizioni nel 2015-2016 e il 2016-2017 ha messo a segno 5 gol e 3 assist. Perché - checché ne dicano alcuni - Roma ha bisogno, e continuerà ad averne, dei suoi monumenti e dei suoi sogni. Ed uno di questi ultimi, chiamato Olimpiadi, ultimamente gliel'hanno spezzato. Ecco perché, forse, conviene aggrapparsi alla (grande) bellezza che già c'è, anche se quarantennale, e non a quella che, ahinoi, (non) verrà.