L’Italia è luogo medievale. La procura federale ha archiviato il caso Tavecchio. L’inchiesta intorno alla sua dichiarazione sui “mangiabanane” non ha sortito provvedimenti disciplinari a carico del presidente della Fgci. Mentre gli organismi internazionali continuano a vagliare l’ipotesi di una sanzione, la motivazione del procuratore federale ha dichiarato che “non sono emersi elementi disciplinari a carico di Tavecchio”.
Volumi di polemiche, di frasi fatte, di ipocrisie, di prese di distanze e di posizioni scandalizzate sono state l’intorno degno di un’altra farsa. Se il futuro vertice federale si lascia andare a frasi razziste, se poi da futuro diventa vertice federale a tutti gli effetti e non viene nemmeno scalfito da un minimo provvedimento sanzionatorio, allora le curve chiuse, le squalifiche, la condanna ai cori razzisti, la discriminazione territoriale (ormai anch’essa “degradata”) non devono valere più. Le istituzioni del calcio, e non solo quelle, chiedano scusa a chi è stato punito, e non per il merito della punizione, ma perché Tavecchio non è stato punito.
Non c’è differenza tra l’urlare un coro razzista allo stadio e dire “mangiabanane” in una dichiarazione pubblica. Anzi, una differenza c’è, è il livello di responsabilità intellettuale, che, a ben vedere, dovrebbe essere diverso. Quello sì che andrebbe rivisto nei suoi ranghi e nelle sue misure. La gogna mediatica ha fatto solo il suo dovere di spettacolo momentaneo, di innesco alla propaganda, di apertura alle danze dell’intrattenimento da talk show frivolo e salottiero.
Sarebbe bastata una multa, un richiamo, un qualche genere di sanzione anche minima, simbolica, per far passare il messaggio che certi atteggiamenti, se vogliono essere realmente scongiurati, devono essere condannati a tutti i livelli, soprattutto se chi dovrebbe dare il buon esempio quell’esempio non lo rispetta. Invece la Procura federale che fa? Dice che va tutto bene, che non ci sono elementi per procedere a un provvedimento disciplinare. Figuriamoci se si va a toccare il “padrone”. Il signore non va contestato. Come lo predichiamo il feudalesimo se tocchiamo il feudatario di turno?
Non si dannino i meridionali, soprattutto i napoletani, che hanno già visto “retrocedere” l’entità della tanto discussa discriminazione territoriale, non si dannino gli immigrati, non si dannino quelli sottoposti al buu domenicale, non si dannino quelli che conservano un briciolo di sensibilità. Magari la giurisprudenza federale sta per creare un precedente che ammoderni presto il diritto e il dizionario, minimizzando su certe espressioni, come fossero uno sfottò, una parola da ignoranti, un’uscita infelice, tutto qua. Ed è vero, è giusto, perché dobbiamo farlo bene il medioevo, e, se dobbiamo farlo bene, vale la pena ricordare che il medioevo è stato un periodo storico caratterizzato soprattutto dall’ignoranza e dall’infelicità.
C’è un’infelicità che non si vede, ma che spesso va violando l’intelligenza e l’onestà delle cose col silenzio delle cose poco avvedute. È l’infelicità di certe decisioni. Il medioevo ne era pieno.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka