Per Garcia il passo dal “Bacio” di Klimt e dal violino di Paganini all’Urlo di Munch è stato breve. Allegri, invece, avrebbe fatto meglio ad evitare litigi da bar con uno come Arrigo Sacchi. Le bestemmie nel calcio si pagano. Sono un patto coi demoni delle cattive premonizioni.

 

Pare che Paganini fosse un virtuoso in tutto quello che si metteva a fare. In giovane età interruppe l’attività di concertista per studiare la chitarra. Mostrò doti da fenomeno anche in quello. Con gli strumenti imitava il verso degli animali e nelle sue esecuzioni sembrava, forse era così, vi fosse sempre il sapore della contestazione, il gusto intelligente della controtendenza. Anche dopo la sua scomparsa il vescovo di Nizza ne vietò la sepoltura in qualsiasi terra consacrata. Per qualcuno Paganini aveva stretto un “patto col diavolo”, forse anche per giustificare in maniera gretta e superstiziosa la sua infinita abilità di musicista.

 

Paganini è stato semplicemente Paganini, e i suoi atteggiamenti considerati “irreligiosi”, per quanto scandalosi in un’epoca tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, oggi, come probabilmente anche allora, non avrebbero potuto che destare quel genere di meraviglia riservata al genio. Ma per “giocare” quella parte è necessario possedere la dimestichezza con le delicatezze. La grandezza è una cosa che serpeggia tra gli oggetti più fragili e delicati. Ti arriva in pacchi con su scritto maneggiare con cura e non perdona trascuratezze. 

 

Se Garcia, in occasione della solita Juventus-Roma, ha sfidato l’estetica del potere, noiosa e insopportabile, delle solite manfrine servili, in abito polemico scucito e ricucito pure dalle ultime uscite, piuttosto infelici, dell’arbitro Rocchi (nessuno, o quasi, lo ha sottolineato come si dovrebbe), suonando il violino in faccia al direttore di gara, superando in raffinatezza pure la manette di Mourinho (ma meno in efficacia), allo stesso tempo le note polemiche e insofferenti della personalità di Garcia hanno imbrattato di accidenti lo spartito di un allenatore che, nonostante i tanti pregi, non ha ancora risolto i suoi problemi con gli appuntamenti che contano (anche la scorsa stagione ne ha steccati qualcuno di troppo).

 

Il Bayern è inarrivabile, d’accordo, almeno per il calcio italiano, a stento competitivo col quarto stato del pallone, in una Champions League al sapor di Platini l’antimoviolista dal risiko facile, dove lo spettacolo tanto annunciato si sta trasformando in uno scenario pietoso, con partite scontate e un numero imbarazzante di partecipanti e basta (Questa storia del ranking e dei coefficienti inizia a diventare una barzelletta, perché si propone valutazioni del tutto parziali e per nulla proporzionate), ma il Garcia in versione contestazione (ben vengano, per quanto mi riguarda), è stato colto in fallo da se stesso. Allegri, diversamente, dopo la sconfitta di Madrid, aveva litigato due volte con l’Arrigo Sacchi paziente, fino a un certo punto, costringendo l’allenatore di Fusignano a tramutarsi nell’Arrigo “furioso”, alla sua maniera, è chiaro, garbata e rassegnata, davanti a un calcio sempre più maleducato.

 

Tuttavia, è una condotta, in pieno stile degli allenatori toscani (vedere Spalletti, Lippi, Mazzarri o Agroppi, sempre per fare nomi grandi e piccoli), che, nessuno conosce le ragioni, non disdegnano una tracotanza troppo spesso malcelata da evidenti sforzi di contrizione votati ad ancora più sforzate misure di rispetto. Non solo, visto che nel caso di Allegri le sue ultime uscite in bilico tra la diffidenza dei nostalgici di Conte e un nuovo corso che fuori dall’Italia, non è una novità, sa di vecchio, rinnegano (cosa combinano i contratti…) i mugugni complottisti di “altri tempi”, di quando qualcuno stava da un’altra parte. Sacchi in questo è sempre stato più attento. Non che da allenatore le mandasse a dire, tutto il contrario, ma sapeva come e quando smuovere le acque più polemiche di una tribuna politica. Un po’ come fanno i Mourinho, appunto, e i Sacchi, per fare qualche passo indietro nel tempo e restare in tema.

 

Il “Bacio” di Klimt sa di silenzio e discrezione, le contestazioni di Paganini suonavano un’altra musica ed è meglio non giocare a fare i Mourinho o mettersi contro i dubbi di Sacchi e le sue latenti sollecitazioni a riflettere. La vera grandezza si muove su altri dettagli, prima che un ladro misterioso trafughi l’Urlo di Munch, irrimediabilmente ritrovato affianco a chi rischia di somigliargli.

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka