Si potrebbe scrivere tutto attaccato. Gigiriva. E sarebbe subito letteratura. Un balzo da una dimensione all’altra illuminerebbe un ragazzo saltato fuori da un racconto di Calvino o di Rodari, oppure da un fumetto giapponese ambientato in Italia. Anzi, no, in Sardegna. Perché almeno stavolta risparmiamocela la retorica nazionale. Perché certi personaggi hanno avuto in dono la percezione e l’onestà di ascoltarla. E Gigi Riva ha donato quello che ha avuto in dono. Prima di tutto essersi riconosciuto e averlo razzolato, quel riconoscimento. Bene, benissimo.

In questa storia c’entra pure la Sardegna. È inevitabile. Come fu per De Andrè adesso più volte ricordato per essere stato ammirato da quel Gigiriva colpito, sembra, da Preghiera in gennaio, di quel mese in cui sono scomparsi entrambi. La Sardegna c’entra perché la Sardegna confina con la Sardegna e basta. Lontano da un’Italia che spesso ammalia "per mestiere", come le rose di Lev, profumando tentazioni laddove nulla andrebbe disturbato, specie se si tratta di appartenenze che rendono felici quelle persone che uscirebbero proprio da uno scritto di Rodari per dire lasciateci in pace nei nostri sogni e nelle nostre felicità. 

Gigiriva è stato l’uomo che, come pochi, ha saputo declinare la parola felicità. Per farlo bisogna rimanere fedeli a se stessi, sempre. Pure nella contraddizione, pure nel paradosso e nella negazione. Perché nei portatori di felicità si annida una forma di purezza microscopica e invisibile che non è soggetta a corruzione. Nell’errore e nell’inciampo, pure in quelli, non perde di tenerezza. 

L’austerità di Gigiriva era tenera e felice. L’hombre vertical, come lo ha definito qualcuno, che, come Droctulfo, il difensore “involontario” di Ravenna che dalla penna di Borges converte la sua missione d’invasione a quella di difensore di un luogo capace di conquistarlo. È accaduto a pochi, come per Maradona, per esempio, come per Gigiriva, appunto. Perché nella vita può accadere di sentire e comprendere che non c’è gloria che tenga davanti alla conservazione felice e genuina di se stessi. La forma più alta di serietà. Il gol più bello di Gigiriva. E pare che il finale del racconto lo abbia visto saltare ancora una volta. E c’è già chi prova nostalgia. Forse pure lui.