È dura, la vita del selezionatore. Uno dei pochi lavori del mondo in cui probabilmente sei il migliore, il più adatto, il più equilibrato, eppure tutti sono convinti di fare il tuo mestiere meglio di te, che sotto sotto sei un incompetente, un raccomandato, e magari a fare certe cose ci godi pure. Ma è difficile, e non poco, mantenere in vita uno spogliatoio che si relaziona pochi giorni l'anno, dare un'identità di gioco ad una squadra che non ha la possibilità di lavorare al di fuori di amichevoli ed impegni ufficiali, scegliere 23 giocatori sapendo benissimo che, se le cose non andranno bene, sarai il primo su cui verrà puntato l'indice. È dura, la vita di Cesare Prandelli.
E lo è a maggior ragione adesso, alla vigilia di un mondiale che parte, come gli ultimi, con pochi auspici positivi, con il calcio italiano che sta vivendo un momentaccio, e con la selezione azzurra che non sembra essere all'altezza delle principali concorrenti. Il ct, dal canto suo, avrebbe potuto mantenere un profilo più basso, senza abbandonarsi a dichiarazioni di cui, poi, si sarebbe potuto pentire. Invece, ahilui, non l’ha fatto. E la sua vita, a causa di poche parole, è diventata ancora più dura.
Su tutte, ovviamente, quelle sul codice etico. Come molti, mesi fa mi chiedevo cosa sarebbe successo se uno dei fedelissimi di Prandelli avesse fatto una fesseria colossale in una delle ultime giornate di campionato. La risposta è arrivata un paio di settimane fa: Chiellini abbatte Pjanic con una gomitata, Tosel gli da tre giornate di squalifica, il commissario tecnico guarda e riguarda l'azione e delibera secondo il suo personale codice: "Non è stato un gesto violento". Risultato: Giorgione andrà tranquillamente in Brasile, probabilmente più per necessità (ammettiamolo) che per (non) rispetto dell'etica prandelliana.
Adesso, però, Prandelli ha la possibilità di cambiare le carte in tavola e di seguire la tanto agognata coerenza. E su uno degli argomenti più spinosi: Giuseppe Rossi. L'attaccante viola, per essere sicuro di volare al mondiale, avrebbe dovuto "giocare le ultime quattro-cinque partite complete" per mostrare d'avere una buona forma fisica. Pepito si è dovuto accontentare di una serie di spezzoni per recuperare pienamente dall'infortunio, e da titolare ha giocato solo l'ultima di campionato col Torino. Bisognerà aspettare per capire cosa succederà, ma per Cesare non sembrano esserci problem: l'unico, vero antagonista di Rossi è Lorenzo Insigne, ma il ct ha spento il paragone accostando il giovane attaccante napoletano a Candreva. Insomma: alla fine di tutto, è probabile che a rimanere a casa sia proprio Insigne, nonostante sia maturato tantissimo grazie a Benitez, nonostante il suo rendimento negli ultimi mesi sia stato straordinario, e nonostante sia, de facto, uno degli attaccanti più in forma della batteria di cui può usufruire Prandelli. Il tutto, per inserire nei 23 un giocatore che è sicuramente uno dei migliori attaccanti italiani (su questo non c'è dubbio) ma che viene da un lungo infortunio e che, in una competizione serrata come il mondiale, potrebbe non riuscire a garantire le riserve fisiche necessarie a gestire al meglio una partita ogni tre giorni.
Rossi è una spada di Damocle sulla testa di Prandelli: dovesse convocarlo, si rischierebbe di vederlo spento e non pronto; non dovesse convocarlo, potrebbe ritrovarsi un Insigne in più, con tutto quello che potrebbe comportare una scelta del genere (tipo le critiche al primo passaggio sbagliato, tipo gli elogi al primo assist a segno). La questione è l’esempio principale, ma allargandolo e dandogli le dovute proporzioni è un ragionamento applicabile a quasi tutti i sette che dovranno rimanere a casa. C'è ancora qualche giorno per pensarci, qualche giorno per capire, qualche giorno per osservare il lavoro in allenamento, e poi bisognerà decidere. Ben consci che siamo in Italia, e che quindi qualunque decisione, fino al 13 giugno, sarà sicuramente sbagliata.
È dura la vita, se fai il cittì.
Antonio Cristiano
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