Garcia il diplomatico dopo la rivoluzione del 1799. Il suo nome di origine spagnola ma di pronuncia francese avrebbe messo d’accordo giacobini e sanfedisti. Una formula di pacificazione dentro una parola sola.

E alla prima conferenza stampa l’allenatore francese ci è arrivato col piglio essenziale e disatteso. L’entusiasmo per i colori parlanti di una città e le risposte senza giri di parole. L’entusiasmo è delicato, perché all’apice della sua espressione, felice, restituito a quello che si temeva perduto. Allora Garcia ha scelto di non girarci intorno, dichiarando subito di averlo visto e compreso.
Le sue intenzioni coincidono con quelle della presidenza.

De Laurentiis in altri frangenti avrebbe reso tutto più tiepido. Invece pare che al patron azzurro il sapore della gloria ha già lasciato la voglia di riprovarla. Se prima ogni occasione era buona per riportare tutti sulla terra, adesso, addirittura, De Laurentiis si è spinto fino alla programmazione diretta alla ripetizione di quella gloria che ancora per molti è un fatto straordinario.

Garcia non ha lasciato intendere freni o prudenze, ma ha espresso la volontà di continuare a provare a vincere. E senza turbare il passato recente. Solo renderlo più imprevedibile.
Il manifesto tattico del francese è quello di voler infondere ai suoi calciatori una “cultura tattica”, senza snaturare un impianto che Spalletti ha reso funzionante e aggiungendo solo le varianti giuste per fornire più imprevedibilità a una squadra che nel futuro dovrà affrontare blocchi e gabbie di tutte le avversarie che avranno come primo desiderio quello di fermare i campioni in carica. Un’inibizione di gioco che il Napoli dovrà sperimentare anche in quella Champions in cui i partenopei, pare proprio per esplicita volontà di De Laurentiis, dovranno percorrere al massimo delle loro possibilità. E che Garcia ha già definito ragione di sogno.

Tuttavia la cosa più significativa emersa dalla presentazione del nuovo allenatore è quella che ha dato lettura e, al tempo stesso, salvaguardia della qualità più importante di questo organico. Riconosciuta e subito cara a un Rudi Garcia che al posto di motti e di simboli si è detto portatore di valori. “I miei calciatori devono prima di tutto avere dei valori. Quando ho visto giocare questa squadra ho subito notato che attaccano e difendono in undici”.

L’intimità atletica di un allenatore che, si sa, vuole che le sue squadre corrano tanto, è sortita come la sintonia numero uno con un gruppo che, e qui le tattiche c’entreranno poco, ha prima di tutto la necessità di preservare la caratteristica che lo ha contraddistinto e gli ha permesso di compiere la sua impresa sportiva.

Sarà questo il compito più difficile di Rudi Garcia. E dalle sue parole apparentemente da facili proclami è emersa la sua più profonda e giusta preoccupazione. Chissà che averla individuata facendola passare come scopo e non come ostacolo, in fondo, non sia il primo passo giusto. Così da portare il titolo a qualcosa di instaurato e non di occasionale.