Un annetto fa, di questi tempi, fantasticavo, sempre su queste pagine.

E lo facevo immaginando (ed anche un po' auspicando, in quanto inguaribile visionario di questo magnifico gioco) il più improbabile e discutibile - ma fascinoso, oh mio Dio, quanto! - dei matrimoni calcistici. Quello, solo rumoreggiato, tra Antonio Cassano - svincolato e fermo ormai da 17 mesi - e il Napoli.

Già. Folle, a dirla oggi, vero?

Eppure, una possibilità, seppur minima, c'era stata. E, da quanto sappiamo noi, anche qualche contatto indiretto. D'altra parte Milik s'era appena rotto il crociato per la seconda volta, e in attesa che si decidesse che fare in merito ad un anticipato sbarco a Castelvolturno di Inglese (a posteriori mai concretizzàtosi), Giuntoli stava sondando il mercato degli svincolati.

Si parlò di Gilardino, Chamakh, Lambert, Rossi e Pizarro. Oltre che, ovviamente, di Fantantonio. Pensate a lui, anche se solo part time, in un luna park del calcio qual era, nel vivo, il Napoli di Sarri.

Pensate ai suoi piedi, baciati dall'estro non fine a sé stesso, ma funzionale al gioco, al servizio dell'inserimento delle mezzali o degli esterni d'attacco. Pensate a un taglio di Callejon da destra verso il centro, ed un pallone calibrato al millesimo di secondo, fendere come lama rovente il burro chiarificato che sono quei due ultimi baluardi che sono i due difensori centrali avversari. E provate a immaginarne la provenienza: per una volta, non di Jorginho o di Insigne, ma di un terzo costruttore di calcio, calato in una realtà non sua ma a lui perfettamente affine. Fatelo pure, ma solo nella vostra immaginazione, se ne avete voglia: perché non solo non è accaduto, ma non accadrà mai. Neanche, fatte le debite proporzioni, nelle serie minori, e in un calcio che forse non ha mai avuto nulla da spartire, con Antonio Cassano.

Ovvero, di uno che di gavetta non ne ha mai fatta perché non ne ha mai avuto il bisogno.

Quando ha esordito, non aveva ancora la patente e già scherzava in campo un campione del Mondo con più del doppio dei suoi anni come Blanc, e un due volte campione d'Europa come Panucci.

Le magie in campo di Antonio sono iniziate e lì, a 17 anni, e sono proseguite, nel calcio dei grandi, per altri 17 anni. Forse non un caso. Così come non è stato un caso - o almeno così mi piace pensare - che alla fine abbia detto no all'Entella.

Riprendere la routine, gli obblighi, gli allenamenti, a 36 anni e dopo quasi 2 e mezzo di stop, d'altra parte, sarebbe stato un trauma per qualsiasi atleta temprato e psicologicamente motivato. Figuriamoci per lui, che non ha mai avuto bisogno di fare vita da soldatino - per usare un'espressione coniata proprio da Antonio - per esprimersi ai massimi livelli. Un 'no' che, in ogni caso, oltre che concludere degnamente la sua tournée di cassanate, lo elegge a ragione in un ristrettissimo cerchio di stelle che in carriera hanno iniziato, e finito, nel massimo campionato, senza mai conoscere le serie minori. E, fidatevi, non sono poi tanti.

Ne vogliamo citare qualcuno?

Totti, van Basten, Rivera, Maldini, Mattheus, Platini.

Cassano. 

Fa effetto, vero?

Perché senza quel maledetto difetto interatriale, forse, la storia sarebbe cambiata. O forse no. Forse si sarebbe regalato il secondo Scudetto consecutivo, non sarebbe iniziato in quel 2012 il ciclo infinito della Juve, in estate non sarebbe mai andato all'Inter, suscitando lo sdegno dei tifosi del Milan. O forse ci sarebbe andato comunque, perché Antonio dell'Inter fondamentalmente è sempre stato tifoso. Mah, chissà.

Parlare per ipotesi, per storie mai successe e per teorie non è mai costruttivo. Di certo è curioso, perché consente di immaginare una realtà parallela in cui ogni evento, anche il più imponderabile, si può costruire, giocando solo d'estro e d'intuito, proprio come faceva lui.

Ma di realtà parallele su Antonio Cassano possono costruirsene un'infinità. E tutte portano a una fine diversa - sempre più lieta di quella reale - delle sue storie con le squadre che ha abbracciato.

Anche e soprattutto con la Nazionale, che probabilmente è quella in cui s'è espresso al meglio, e con maggiore trasporto. Perché non credo di essere l'unico a ricordare come predicasse nel vuoto Antonio Cassano a Euro 2004 e Euro 2008. Così come altrettanto bene ricordo quanto contribuì alla bella cavalcata, sempre europea, dei nostri, nel 2012.

Un paragone vero, per intenderci, con tutti coloro che, dal primo all'ultimo, vestono la maglia azzurra oggi, è infattibile, neanche a livello numerico e statistico: eppure questi sono ragazzotti che nei rispettivi club vengono osannati, dai propri tifosi portati in gloria, oltre che valutati diverse decine di milioni di euro dalle società, a differenza sua. L'Italia, però, non hanno mai saputo aiutarla, a differenza di Antonio Cassano: che pur vivendo comunque esperienze azzurre buie o semibuie, culminate con il vergognoso Mondiale brasiliano, ha sempre saputo mettere l'accento.

E' anche per questo che solo gli stolti, o gli smemorati, non renderanno onore al suo talento, ora che è anche formalmente sfumato, rendendosi esclusivamente riferito al passato.

Un passato a cui anche lui stesso guarderà con invidia e nostalgia.

Degli anni in cui poteva diventare il migliore di tutti, di quelli buttati via per dei modi di fare sbagliati. Di quelli annebbiati, di quelli in cui sembrava finito. E di quelli in cui è rinato.

Di quelli passati fermo ai box, di quelli passati in tribuna. Di quelli in cui tutti si aggrappavano a lui. Di quelli in cui su parlava di lui. Di quelli in cui ci si era, a torto, dimenticati di lui. Di quelli in cui giocava da Dio.

Di quelli che ora non ci saranno più. Una nuova vita, per lui, in realtà è iniziata già anni fa, e riconduce sostanzialmente alla famiglia. E così sarà, probabilmente, per qualche tempo ancora. Giusto così, fine della storia.

Ma non in maniera banale, come sempre. Anzi, con una cassanata, quella del possibile ritorno in campo, all'Entella: un'illusione, come molte altre, o forse solo un effetto ottico o un gioco di magia.

Uno dei tanti, di quelli che faceva coi piedi ma anche con la testa. Di quelli che, piacciano o no, sono di Antonio Cassano. Diverso da tutti, diverso dagli altri, uguale solo a sé stesso. Nel bene e nel male. E perfettamente consapevole di tutto ciò, come dichiarato, per l'ennesima volta, nella sua ultima intervista da calciatore, a 'le Iene'. In cui, tra le tante risate e battute, sono arrivate forse anche delle scomode verità: a parte quelli della Juventus e Higuain, di campioni veri, in Serie A, non ce ne sono poi mica tanti, anche oggi. Altro che quelli di 20 anni fa, ai tempi della sua esplosione. Quando era solo un ragazzino ma era già certo che quella sarebbe stata la sua strada. Irta, contorta, dibattuta e folle, ma unica. Nel bene e nel male. Proprio come Antonio Cassano.