Non me ne vogliano i cattolici ferventi, quelli iscritti all’albo e quelli che hanno intenzione di iscriversi. Non se la prenda il pensiero bene, comodamente seduto nei salotti e nelle anticamere del piacere, in attesa del trucco, di quelli accomodati nelle quinte spaziose e confortevoli, prima che il direttore di scena passi e chieda loro se sia tutto in ordine, se si sentano pronti per iniziare lo spettacolo.

 

Mi perdoni chi ha padronanza della cattiva fede, chi sa come scovare malizia laddove il bello e il compunto si sono sistemati col sorriso sulle labbra e hanno indossato il vestito della felicità.

Ma a qualcuno, e non a torto, sarà passato per la testa che qualcosa di patetico abbia benedetto l’incontro tra Bergoglio, ancora indeciso se atteggiarsi come capo di stato o padre spirituale - nel dubbio ricopre entrambi i ruoli - e i giocatori della nazionale italiana di calcio, sempre più rappresentata da una simpatia confezionata nella plastica, in visita alla corte del papa re, il “gesuita”, che ha nuovamente riscosso il successo televisivo della sua nuova dottrina buonista (era più autentica quella di Ratzinger), dicendo le stesse cose che Prandelli, Abete e tanti altri dicono da qualche anno.

 

È evidente che Bergoglio deve aver recuperato giusto in tempo il manuale di etica prandelliana, a più riprese ripassato in numerose conferenze stampa. O forse, chissà, il libro Cuore di seconda mano sarà cascato a uno degli scolaretti presenti al meeting delle due religioni. Il cattolicesimo e il pallone. 

 

L’operazione di marketing, per entrambi, per la chiesa e per il calcio italiano. In fondo, si sa, alla chiesa cattolica preme prima di tutto lo share. Ogni giorno un cardinale, il segretario di stato o un suo portavoce, un prete importante, si svegliano e prendono informazioni sul credo, quello statistico. “A quanti cattolici stiamo?” E su quello si regola il volume dell’amplificazione mediatica delle cose religiose (e non solo), di questi tempi nelle mani di un restyling a più non posso, figlio di quell’azione politica senza precedenti transitata per le dimissioni del papa precedente.

 

E in fondo pure i calciatori sono i preti di una religione. Ma qualcuno dica agli atleti della nazionale, che tanto predicano l’unità del tricolore, che il più celebre “prete” dell’unità, Garibaldi, i papi li combatteva e di loro parlava pure male. Magari ditelo a quei calciatori in odore di "santità" e di parlamento. Adesso niente induca nella tentazione di cadere negli sconti alla retorica, avanzando timorosi giudizi, e non timorati, sull’uso dubbio del tempo e dello spazio, presso luoghi dove dimorano segreti e custodie divine, sopra le miserie e le inquietudini, forse non per porvi rimedio, ma per governarle.

 

Qualcosa non torna, ma deve tornare. Come Salvador Dalì, a un certo punto convertitosi al Cattolicesimo, disse a proposito della sua opera sull’Ultima cena, dipinta per rappresentare pure la perfezione, “La comunione deve essere simmetrica”. Per chiarimenti, si può sempre chiedere udienza.

 

 

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka