Una volta erano una voce statistica. Le decisioni del giudice sportivo facevano il passaggio in mezzo alle notizie importanti. Adesso, pure. Solo che quando vai a leggerle con attenzione, ti accorgi che pure là in mezzo, tra le assegnazioni di stop e “fermi amministrativi”, scorgi qualcosa che con un po’ di attenzione dovrebbe fare rumore. Almeno, qualche domanda.
Lo immagino così, il giudice sportivo, questa entità superiore che se ne sta in chissà quale camera oscura, a fare disfare tra episodi e referti, sommerso di codici e formulari, di appunti e precedenti, trascorrendo il lunedì con le sue sudate carte, cercando di rendere giustizia al pallone delle infrazioni e dei malfattori.
Ha pure un nome, che a volte compare, altre volte no, come se se la sua identità disponesse di alternative di riserva, pronunciabili o impronunciabili a seconda delle occasioni.
E ne tira fuori di sentenze, di moniti e diffide, ma con criteri che non sempre risultano chiari. Se una tifoseria sfodera striscioni violenti a ripetizione, se canta, magari nel suo stadio nuovo di zecca, cori contro “negri” e a favore di vulcani sopiti da mezzo secolo, quella tifoseria sconta la sua simpatia con qualche decina di migliaia di euro, surrogando la colpa della sua "eleganza" alla società della propria squadra (vedere Inter e Juventus). Oppure, se i fattacci avvengono su altri stadi, ad opera di altre tifoserie (o delle stesse), ma sempre con l’intento tanto “costituzionale” del “volemose bene” di romana e papale memoria, l’ammenda sfiora lo stesso ridicolo, con lo stesso prezzario alla mano, che sfoglia le quattro banconote laddove il frastuono dell’offesa fuori moda rimane a lungo, tra le polemiche e le giustificazioni d’ufficio.
Oppure, se intorno allo stadio se le suonano di santa ragione (vedi Cagliari - Milan e molti altri casi), e, pochi anni prima, lo stesso giudice sportivo aveva vietato l’ingresso ai tifosi, in vista di Napoli-Genoa, tifoserie gemellate, a causa del lancio di una bottiglietta di yogurt, vuota.
Poi, sempre tra le sentenze dello stesso giudice sportivo, scopri che ci sono società che prendono le stesse sanzioni perché il cretino di turno punta un laser sugli occhi di un calciatore o dell’arbitro. Il bello, è che la società ha giocato in trasferta. Vedere il Napoli, multato per questo motivo.
Adesso, nessuna paura, ben vengano i provvedimenti per queste azioni da supermarket della stupidaggine, immaginando, poi, la balistica impegnata a visionare le immagini, a dire sì, quel laser è stato prodotto da un tifoso di quella squadra, e quindi, in trasferta, multiamo la società, che, abitualmente, si sa, controlla il servizio d’ordine di tutti gli stadi italiani, non del proprio.
E me la immagino, la lunga notte di studio del giudice sportivo, che tra mille precedenti avrà colto l’essenza della giustizia, facendo della giurisprudenza una macchina da caffè, e nemmeno di quello buono. Razzismo e violenza, reiterate e da lungo tempo, uguali al laser in trasferta. Sia ben chiaro, che valga per tutti, anche se fosse il contrario.
La prossima volta, chissà, un laser illuminerà di verde lo striscione di venti metri con su scritto nessuno sa quale insulto. E allora, in quell’episodio, per il buon giudice sportivo, sarà più facile riunire colpa e sanzione. E si leggerà, con gran piacere, che nel referto diramato alla disciplinare ci sarà scritto, “volemose bene”.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka