Aurelio De Laurentiis "minaccia" stanchezza. Avvisa il tedio attivo, paventando il giorno della grande scocciatura. Le difficoltà di mercato, gli sgambetti e le trappole subiti nelle ultime trattative, l’affare infortunio Behrami e la fuga di notizie sulle sue condizioni, le critiche e l’irriconoscenza di qualcuno, pare abbiano infastidito non poco il patron del Napoli.
Ha dichiarato che "potrebbe stancarsi, che Napoli devi conoscerla bene per far sì che un grande giocatore vi faccia volentieri destinazione, che solo se conosci i napoletani puoi starci dentro e gestire l’ambiente". Appunto, qui si tratta di capire Napoli com’è fatta. Non credo sia giusto mettersi dalla parte dei detrattori di quel De Laurentiis che ha avuto il merito di trasformare un "pezzo di carta" in una squadra competitiva ai massimi livelli - anche se questa metamorfosi surrealista gli è stata consentita da dinamiche di palazzo dalle quali lui stesso, come da logica imprenditoriale, aveva sin dall’inizio sperato di “ereditare” un Napoli da giorno 0 -.
Tuttavia, non sarebbe giusto oltrepassare la misura nei confronti di chi ha avuto il merito di fare del Napoli una società dalle notevoli facoltà manageriali, dalle risorse importanti e con calciatori di livello internazionale. Ma il punto sta proprio qui. A Napoli la parola stanchezza va misurata ancor più delle critiche stesse, perché in mezzo alla Napoli che andrebbe riveduta da cima a fondo, ce n’è anche una che di stanchezza ne porta addosso fin troppa, tra la pazienza e la sopportazione. E non di certo per il pallone, che magari fosse l’unico punto d’attenzione, a dispetto dei soliti stereotipi, piuttosto perché l’avviso di spazientirsi del presidente del Napoli arriva nel momento in cui tutto sarebbe stato utile tranne che tirare in ballo la parola stanchezza.
È stato De Laurentiis ad annunciare acquisti importanti per gennaio, promettendo di investire cifre dichiarate manco si trattasse di un gioco di carte "a parola". Allora, forse, se pure società in bolletta sanno fare la voce grossa e, senza una buona ragione, sanno come chiudergli la porta in faccia, sarebbe meglio per lui riflettere che sia arrivato il momento di circondarsi di qualche “Benitez” in più, affidandosi a qualcuno che ne sappia più di lui, in un mondo pallonaro dove se vuoi essere rispettato e non vuoi che federazioni altrui o giornalisti cinguettanti spifferino notizie sui tuoi calciatori, devi costruire un impianto societario solido e impenetrabile, perché non basta monopolizzare i diritti d’immagine, non basta fare il giro di vite intorno agli accessi giornalistici e organizzare reti di veto e di protezione sui calciatori.
Ben venga la serietà, ma questa rischia di essere vanificata in un amen se poi davanti alle faccende pallonare per eccellenza, Tizio e Caio ti fanno fare brutta figura, e non davanti ai giornali o agli “addetti ai lavori”, ma davanti ai tifosi, che pochi giorni fa, hanno riempito un intero settore dello stadio per andare a guardare un allenamento, guadagnandosi pure qualche battuta maliziosa dai soliti abbonati agli stereotipi.
A Napoli non è vero che il calcio è la prima cosa, ma non è neanche l’ultima. A una città stancata non si può "minacciare" stanchezza, soprattutto se qualcosa che sta andando storto dipende pure da chi quella stanchezza la sta "minacciando". Se è vero che De Lurentiis dice di conoscere Napoli, allora dovrebbe saperlo. Per generazioni che hanno aspettato sessant’anni per vincere qualcosa, dire stanchezza suona quasi come una bestemmia. Del resto, lo ha scritto chiaramente pure Andrè Maurois, “Ci si stanca di tutto, anche di essere amati”.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka