Internet serpeggia tra le curve. Un pensiero ardito e confuso si fa spazio sugli spalti. A Napoli, per esempio, non si perde occasione per scrivere o urlare qualcosa contro la società, per contestare un calciatore, o per dare sfogo alla nevrosi del tifoso del nuovo millennio, quello che durante la settimana fa il pieno di opinioni, filmati, sottolineature, trasmissioni faziose, servizi e interviste, nel bel mezzo del tessuto fazioso che nessuno, dico nessuno, riesce nell’impresa di superare, facendo sì che l’opinione, che brutta parola, scansi la pessima figura mentre il proposito giornalistico non sia quello di fare da eco alle esigenze delle società o dei procuratori. Imparzialità, quella sconosciuta.
Oggi il tifoso si educa da solo, crescendo in quella feroce autodidattica fondata su corsi di ampio respiro, che hanno un inizio e non hanno una fine, lungo una specie di semiretta che taglia in due la parte migliore della passione. Siti, giornali on line, programmi tv, radio, cartacei, che ancora sopravvivono, per fortuna, riempiono la testa di cose buone e cattive - non chiedetemi dove sia la separazione che nemmeno riesco a immaginarlo - la testa del tifoso giovane, che, senza saperlo, si svuota di quelle che una volta si chiamavano passaggi dell’esperienza, e che con poco istruivano l’appassionato di calcio a quel metro che sapeva misurare tanto la diffidenza quanto la fiducia.
La testa del tifoso giovane si svuota, riempiendosi di quello che vogliono gli altri e che dopo cinque minuti arriva uno più convincente a farlo contestare, e giù fino a un ciclo delle idee che ricorda un po’ il ciclo dell’acqua. Evaporazione, nuvole, correnti, venti pioggia, evaporazione.
Invece la testa del tifoso più anziano affronta grandi stati di confusione. E sì, perché si dibatte tra l’occhio vivo e vegeto del calcio di una volta e quello un po’ stanco e stordito dal marasma di impulsi del pallone on line. La psicosi da web, poi, si riflette pure in questo tifo che è ancora più stanco e stordito dell’occhio anziano del calciofilo. A Napoli, giusto per fare un esempio, si spremono per esporre striscioni ad effetto contro la società, contro quello, contro quell’altro, e da anni, invece, non si vede una coreografia come si deve, non si sente un coro cantato da tutto lo stadio, non si avverte più quell’entusiasmo vivo, unico, originale, umano, che caratterizzava una delle tifoserie migliori del mondo.
Lo era una volta, capace come poche di riuscire a rappresentare con intelligenza e ironia la faccia speranzosa del lavoratore che andava allo stadio col figlio, del trentenne che aspettava la domenica per vivere una mezza giornata che lo autorizzasse a ficcarsi dentro quell’atteggiamento un po’ infantile che dal lunedì lo avrebbe ricacciato dentro il suo nuovomondo di responsabilità, fatto di sbarchi al lunario giovanile e alla lotta delle conservazione delle poche idee rimaste.
Allo stadio si andava per sostenere chiunque, spesso anche squadre che in campo non avevano nemmeno un calciatore decente. E questo non significava affatto che i tifosi di una volta non capissero di calcio e allora si poteva prenderli per i fondelli a proprio piacimento. Tutto il contrario. di calcio se ne intendevano e come, ma non per questo confondevano il senso dell’altrove delle cose. Se oggi ci sono tanti giornalisti che improvvisano il senso del dubbio e della contestazione, lo dobbiamo pure a questa spasmodica domanda del “consumatore”, che si è innamorato della polemica a tutti i costi più di quanto non riesca a fare con la capacità di starsene in disparte, di aspettare che il tempo per valutare le cose sia più lungo di una settimana. Succede che poi, in questa autorizzazione di massa alla comunicazione, si finisce per essere dei giornalisti prestati agli ultrà, da una parte, e dall’altra degli ultrà prestati al giornalismo.
Il calcio è un’evasione, e non un confino dove rinchiudersi come ci si trovasse in un social network dove scrivere all’impazzata frasi contro quello e contro quell’altro. Le curve oggi sono diventate delle riproduzioni viventi delle scritte sotto casa. Ci leggi la scontentezza, la volgarità, il dissenso per partito preso, senza più qualcosa che ti faccia sgranare gli occhi, come accadeva una volta, quando, me lo ricordo come fosse oggi, sicuro d'incantarti, aspettavi l’inizio della partita per vedere quale coreografia si sarebbero inventati.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka