Sul disastro si sono soffermati tutti. Inutile aggiungere alla mortificazione del commentario un ulteriore nota di amarezza e di desolazione. Basta il ribaltamento di uno stato d’animo, di una condizione, di una stima generali che stanno assistendo al rovesciamento di un simbolo della gloria. Il Napoli ha capovolto lo scudetto strappato a suon di meraviglie nella serie A dell’anti meraviglie e una metamorfosi inimmaginabile ha capovolto il Napoli. 

Adesso, però, sono troppe le domande intorno a un rendimento che sfocia nell’analisi del comportamento. Cosa è accaduto? Cosa sta accadendo? Non è più credibile la scusante della cattiva preparazione, dell’annullamento tattico, dello smarrimento dovuto a questo e a quello. Niente può essere più credibile quando è evidente che nessuno ha più intenzione di opporsi a un disastro che è diventato strutturale. La caduta è nell’animo dei calciatori quanto l’entusiasmo lo è stato lo scorso anno. L’incantesimo si è tramutato in un maleficio. L’atteggiamento dei calciatori fa insorgere un volume inquietante di interrogativi. Cosa pensano i calciatori? Cosa li tiene ancora vicini? O lontani? 

Il Napoli negli anni precedenti aveva sempre, o quasi sempre, potuto contare su un organismo interno immune alle sollecitazioni della sua proprietà. Fino al trionfo del maggio 2023 il Napoli è riuscito a isolare la sua voglia di giocare, lottare e vincere dall’ambiguità grottesca di quel calmierato tiepido e isterico che in più occasioni, non va dimenticato, in questi anni ha sfiancato squadre e allenatori anche nei momenti in cui andavano tutelati.

Nella stagione successiva alla meraviglia il Napoli e De Laurentiis sono entrati in contatto. Realmente, per la prima volta fino in fondo. Non ci sono stati più i Rafa Benitez, i Maurizio Sarri o i Luciano Spalletti ad arginare la tensione incombente dalla serenità di una pratica che sia mossa da un obiettivo, da un fine, da uno scopo in grado di sposarsi col profitto senza entrare in conflitto. La stagione del dopo scudetto non ha potuto evitare questo conflitto. Una cassazione di ruoli e interpreti ha divorato la sua stessa creatura. E ogni sua parte, soprattutto i calciatori, non ha saputo reggere all’urto, senza nemmeno riuscire a riparare nei suoi stessi egoismi. Tutto il peggio ha causato il peggio. Azioni e reazioni, più o meno velate o esplicite, hanno sortito come unico effetto quello di uno stato di responsabilità difficilissimo da attribuire con precisione. 

Ad Aurelio De Laurentiis vincere non è bastato. Qualcosa che non si comprende lo ha condotto a intervenire sulla storia per passarci col più incomprensibile dei paradossi. È come se da tutto questo emergesse un’involontarietà della vittoria e un’intenzione della sconfitta. I più attenti ricorderanno che proprio all’Olimpico di Torino è andato in scena l’ultimo atto del Napoli invincibile. Con quel 4-0 dopo il quale qualcosa ha cominciato a corrodersi lentamente e a cui soltanto una grande motivazione ha evitato che lo scudetto potesse compromettersi. Perché ormai troppo vicino per poter essere perduto. L’attuale situazione parte da molto più lontano di questa estate. E qualcosa di indecifrabile (forse) va ben oltre le scelte sbagliate di un’estate trascorsa a illudersi che quello che non si era realmente voluto potesse continuare a bastare.