Non è arrivando primi che si soddisfa la disputa. Per l’addio al calcio giocato di Marek Hamsik (partita trasmessa in tv grazie a calcionapoli24.it) si è riunita una generazione di calciatori che in un tempo non così lontano s’era ritrovata a dar vita a qualcosa che ancora oggi nella memoria dei tifosi partenopei e di molti appassionati vive col rimpianto di non aver potuto raggiungere una gloria che sarebbe stata ampiamente meritata.

A capo di quella generazione composta da calciatori con un pezzo significativo di carriera a ridosso della vittoria, c’è stato un capitano che ha condotto il Napoli nella sua fase più delicata. Hamsik ha allevato il Napoli prima della vittoria. Lo slovacco ha ricomposto lo spartito del sogno futuro, il verrà, regolando le consolazioni della delusione, rassicurando quando c’è stato da ricominciare, adeguandosi ogni volta ai tentativi o alle consolidazioni di questo o di quell’allenatore. E ha lasciato la sua creatura più importante quando è arrivato il tempo di farlo. Prima che i cenni dell’invecchiamento potessero turbare un rapporto che negli anni è venuto su pulito, senza le corruzioni dei convincimenti e delle persuasioni. 

Hamsik s’è persuaso da solo, fino a quando un altro tempo gli ha fatto capire che il suo era finito, ma con la consapevolezza che nel dopo sarebbero fiorite tutte le speranze in cui la generazione che lo ha circondato ha confidato sfiorando quella gloria raggiunta da chi è arrivato subito dopo. Il Napoli ha vinto due scudetti, riprendendosi il posto di luogo vittorioso dopo un terzo di secolo, ma Marek Hamsik no. Due volte la Coppa Italia e una Supercoppa, ma mai lo scudetto. Un po’ come il compianto Antonio Juliano, il capitano che ha guidato un Napoli grandissimo, ma senza tricolore. 

Hamsik è arrivato a Napoli nel primo anno di A dell’era De Laurentiis. È arrivato giovanissimo, sconosciuto, nella fanciullezza senza pretese, viva prima di tutto di entusiasmi che si lasciano andare al gusto di quello che sarà. Ha resistito alle tentazioni di club che gli avrebbero potuto dare, in quegli anni, maggiori opportunità economiche e di successi, e nessuno in fondo sa bene cosa lo abbia spinto a legarsi al Napoli per così tanto tempo.

La sua evoluzione di calciatore è andata in simbiosi con quella di una squadra lanciata verso altre occasioni, con la sensazione della gioia, di nuovo vicino alla possibilità di diventare felici. Dopo Maradona, dopo la chiusura struggente di un’epoca irripetibile, non sarebbe stato facile fare il capitano. Hamsik ha indossato la fascia aprendo le porte a un’epoca nuova, in contrasto con le pressioni di un calcio ancora più feroce sul piano dell’insensibilità.

Come calciatore è stato tra i più grandi della storia del Napoli, tra i più talentuosi della Serie A degli ultimi vent’anni. Come uomo dentro e fuori dal terreno di gioco, ha vissuto dodici anni in un luogo che contempla l’accoglienza e la cacciata nella stessa misura. E lui ha saputo affrontarla. Tutto quello che adesso è nel palmares del Napoli rifondato dopo il fallimento è anche merito suo. Per quello che ha vinto e per quello che non ha vinto. Un giorno tornerà a giocare e sarà come il primo giorno.