Prima di entrare nel merito della discussione, mettiamo le proverbiali mani avanti: chi scrive non è certamente un detrattore di Maurizio Sarri, allenatore serio e preparato che solamente ora sta raccogliendo i frutti di quanto seminato nelle categorie meno nobili del pallone italiano. La promozione con l'Empoli, la Serie A affrontata con una difesa giovanissima, la valorizzazione di giovani finiti nelle big come Rugani, Hysaj e Zielinski, così come di calciatori più esperti quali Valdifiori, Tonelli e Saponara, il recupero di Hamsik come leader prima che come uomo gol, la trasformazione di un giocatore che pareva inadatto alla Serie A come Koulibaly; per questi e altri motivi ora il tecnico del Napoli è giustamente riconosciuto come un allenatore che sa insegnare calcio a tutti i livelli. Doverosamente menzionati i meriti del tecnico partenopeo, torniamo al punto, ovvero il più grande fallimento di Sarri da quando egli è alla guida del Napoli: tale errore risponde al nome di Manolo Gabbiadini.
Riavvolgiamo un attimo il film della Serie A tornando al 5 gennaio 2015: un Gabbiadini appena 23enne, reduce da un ottimo anno e mezzo alla Sampdoria con 15 reti in 47 partite da ala destra, viene acquistato dal Napoli per 12,5 milioni di euro, una cifra poco più che irrisoria per quello che veniva considerato uno dei giovani attaccanti più interessanti del campionato. Molti addetti ai lavori plaudono al colpo dei partenopei e storcono il naso di fronte all'eccessiva arrendevolezza della Juventus, ai tempi co-proprietaria del cartellino e rea di essersi accontentata di qualche milione di euro di plusvalenza. L'esordio in azzurro avviene proprio contro i bianconeri, ai quali aveva già segnato con la maglia blucerchiata; Manolo non parte come una primissima scelta nella mente di Rafa Benitez, che però da grandissimo cultore del turnover concede al ragazzo tanto spazio quanto gli basta per segnare reti decisive e offrire prestazioni sempre positive, ora da subentrato per sparigliare le carte coi suoi missili da fuori, ora da titolare sulla destra nel 4-2-3-1 o da trequartista/incursore dietro a Higuain. A fine stagione lo score personale di Gabbiadini riporta 20 gol tra campionato, Coppa Italia ed Europa League e la media di una rete ogni 122 minuti, addirittura migliorata nel passaggio da Genova a Torino. Sembra l'inizio di un connubio vincente, invece il numero 23 non si ripeterà mai più su quei livelli.
Ve lo ricordate più come calciava Manolo? Con che facilità pescava gli angolini?
Stagione 2015/16, Maurizio Sarri approda sulla panchina del Napoli. Partito senza fortuna col 4-3-1-2 mutuato dal suo Empoli, il tecnico passa presto al 4-3-3 che porta i campani a sognare per diversi mesi quello Scudetto poi sfuggito per colpa di quel gol di Zaza allo Juventus Stadium. Nel 4-3-3 di Sarri, per Gabbiadini non c'è posto da esterno alto; nonostante le dichiarazioni di facciata ("Gabbiadini non è solo il vice Higuain, possono giocare insieme", affermò il tecnico dopo una partita di Europa League), Manolo passa velocemente da jolly prezioso a riserva fissa buona solo per la Coppa Italia e l'Europa League, venendo schierato titolare in appena 4 gare di campionato su 38, 3 delle quali durante il periodo di squalifica del Pipita, sempre e solo da attaccante centrale, ruolo nel quale era stato impiegato solo saltuariamente ai tempi di Bologna e Genova e comunque sempre in coppia con un compagno più abituato ad occupare l'area, Gilardino o Eder.
L'ultima stagione è storia recente: core 'ngrato Higuain lascia Napoli per accasarsi alla Juventus, Manolo aspetta solamente di identificare la sagoma che gli si staglierà di fronte come nuovo centravanti del Napoli e che prende le fattezze di Arkadiusz Milik, titolare a furor di popolo dopo l'esordio col Pescara, e subito in gol (doppietta) col Milan alla prima dal calcio d'avvio. Al momento dell'infortunio del polacco il Gabbia, che centravanti non è ma non può non essere, ci scuserà Parmenide per il paradosso, ha già imboccato quella spirale negativa che gli regalerà i fischi del San Paolo e un biglietto di sola andata per Southampton.

Ma perché, perché un uomo dalle arcinote competenze calcistiche e dall'elevata umiltà come Maurizio Sarri non ha mai, neanche una volta, voluto puntare su Gabbiadini nel ruolo che lo aveva reso uno dei più interessanti attaccanti italiani? Vogliamo pensare che il tecnico abbia provato in allenamento Manolo nella sua posizione preferita, ma quale catastrofe può averlo spinto a non schierarlo mai da ala? Proviamo ad elencare le cause principali del dirottamento dell'ormai ex giocatore del Napoli a prima punta:
1) l'imprescindibilità di Callejon;
2) la presunta scarsa efficacia di Gabbiadini in fase difensiva;
3) l'assenza di un centravanti di scorta in rosa.
I primi due punti sono in realtà collegati: Callejon svolge un lavoro molto prezioso in fase di non possesso e Sarri ne ha più volte elogiato le qualità, anche in periodi di scarsa vena realizzativa come nella scorsa stagione, quando rimase a secco di reti per tutto il girone di andata. Il discorso riguardante l'equilibrio però cozza fragorosamente con l'evidenza del campo: a sinistra il Napoli è schierato con una catena dalle propensioni decisamente più offensive che difensive, con un terzino poco propenso alla copertura come Ghoulam a supporto di Insigne, più una seconda punta che un ala, poco impegnato in fase di non possesso. Sarebbe stato un delitto testare Gabbiadini a destra spostando Callejon sul versante opposto, oppure dar fiato allo spagnolo (praticamente sempre in campo) sostituendolo con Manolo? La squadra sarebbe stata così sbilanciata? Evidentemente sì, dato che in caso di assenza di uno dei due esterni titolari Sarri ha sempre e comunque schierato Mertens all'ala, mai l'ex Samp. Scarsa propensione difensiva? Non la pensava così Sinisa Mihajlovic, uno sempre attento agli equilibri della squadra, che ne ha elogiato più volte lo spirito di sacrificio e la tendenza ad aiutare la squadra in fase di non possesso ("Manolo si sta sacrificando per la squadra in fase difensiva, e i frutti si vedono, giochiamo bene e vinciamo" ai tempi della Sampdoria, n.d.r.). Anche nel Bologna di Pioli Gabbiadini ha giocato da esterno, per di più a sinistra in tandem con un terzino non esattamente difensivo come l'ormai ex rossoblu Archimede Morleo, e non ci risulta che i felsinei fossero una squadra votata al calcio champagne. Il punto 3 non è ovviamente imputabile al giocatore, quanto piuttosto a una costruzione della rosa che deliberatamente non prevedeva un'alternativa vera a Higuain prima e a Milik poi, visto che l'unico giocatore con caratteristiche da unico riferimento offensivo (Zapata) è stato ceduto in prestito.
Manolo Gabbiadini lascia Napoli e il Napoli con un rimpianto ben più grande di quello solitamente provato da chi non ha mai potuto mostrare le proprie qualità, per un motivo o per l'altro. Lui il pubblico del San Paolo l'aveva conquistato, si era fatto conoscere con i suoi pregi e i suoi difetti: un esterno non troppo adatto al combattimento, ma generoso e utile in entrambe le fasi, con una buona visione di gioco e soprattutto una combo taglio verso il centro-sinistro a giro che stava diventando un marchio di fabbrica. Sul più bello, senza che nessuno gli spiegasse il perché, tutto questo gli è stato tolto, e mai più restituito.
Maurizio Sarri, da persona intelligente qual è, un giorno ci ripenserà e magari piangerà, non troppo, sul proverbiale latte versato.
Con la collaborazione di Alex Campanelli